Vignetta: Niyaz Karim
Riusciranno i Brics, acronimo che raggruppa le principali economie emergenti (Brasile, India, Russia, Cina e Sudafrica), ad assumere un ruolo di primo piano sulla scena internazionale?
Un esperto di geopolitica si esprimerebbe in senso contrario, dal momento che tra cinesi e indiani non intercorrono buoni rapporti e che la Russia continua a essere ampiamente snobbata tanto dai suoi vicini occidentali, che non la considerano realmente europea, che dai suoi vicini orientali, che non la sentono realmente asiatica. Quanto al Brasile e al Sudafrica, entrambi appaiono troppo diversi tra loro per trovare un accordo su temi fondamentali dello sviluppo e dai tradizionali centri del potere, vale a dire l’Unione Europea e gli Stati Uniti.
Eppure, i leader dei Brics riescono a incontrarsi con scadenza annuale (mentre i loro ministri degli Esteri e altri diplomatici si consultano con una frequenza addirittura maggiore) e a divulgare comunicati congiunti sulle decisioni prese. Cos’è dunque che tiene uniti questi giganti così diversi tra loro? La risposta è da ricercare nella loro comune insoddisfazione nei confronti della politica dei tradizionali leader mondiali. Il summit della scorsa primavera, che si è tenuto nella provincia di Hainan, in Cina, durante la crisi libica, ha evidenziato le divergenze tra l’Occidente e i membri del Brics, i quali non condividevano l’entusiasmo del primo per la “primavera araba”: un movimento che considerano causa d i guai, più che di vantaggi futuri.
All’epoca Washington, Bruxelles e altre capitali europee applaudivano la caduta di Mubarak in Egitto e incoraggiavano i ribelli libici e l’avvento della democrazia in un generale clima di esultanza. N ella dichiarazione congiunta, i cinque leader dei Brics esprimevano una profonda preoccupazione per quanto stesse accadendo nell’Africa del Nord. Uno di loro, il sudafricano Jacob Zuma, aveva addirittura guidato il tentativo dell’Unione Africana di raggiungere un accordo tra Gheddafi e i suoi nemici.
Le continue lotte intestine in Libia e i preoccupanti sviluppi in atto in Egitto – compresi i pogrom anticristiani e le tensioni tra fanatici religiosi ed esercito – hanno dimostrato che le preoccupazioni dei Brics erano, almeno in parte, giustificate. D urante il summit di Nuova Delhi, tenutosi lo scorso mese, si è discusso tra l’altro della situazione siriana. Il consenso dato da Russia e Cina a una blanda risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha innescato un vero e proprio intervento militare da parte dell’Occidente. Per questo Mosca e Pechino adesso preferiscono scontentare la signora Clinton anziché rischiare che quanto è accaduto in Libia possa ripetersi in Siria. L ’interventismo e la condotta generale dell’Occidente stanno rafforzando il legame tra queste nazioni più di quanto non fossero riuscite a fare le vecchie illusioni socialiste, che nel corso del Ventesimo secolo hanno ispirato in una forma o nell’altra tutti questi Paesi. D i quando in quando, l’Occidente fa leva anche sul nostro comune, tragico passato comunista per tentare di sminuire il legittimo ruolo che Russia e Cina rivestono ormai sulle scene economica e politica mondiali. Come se i crimini commessi da Mao o Stalin avessero reso le nuove generazioni di russi o di cinesi inferiori a quelle dei lettoni o degli estoni.
Infine, dando uno sguardo all’evoluzione de lle valute nell’ultimo anno, il real brasiliano e il rublo russo si sono rafforzati rispettivamente, di due e di 9,2 punti percentuali rispetto al dollaro americano. Non c’è da sorprendersi, dunque, del calo delle esportazioni dei due Paesi verso gli Usa. Un altro fattore che favorisce la convergenza di interessi tra i Brics e i contrasti verso le economie leader dell’Occidente.
L’autore è analista politico di Voice of Russia
L'intervento è stato pubblicato sul numero di maggio 2012 di "Russia Oggi"
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