La fila, questa sconosciuta

Mosca vista dal basso di un'italiana. I post
Credit: Niyaz Karim
Credit: Niyaz Karim
22 aprile 2012

A Mosca non c'è fila che tenga. Che sia poi un'italiana a riconoscerlo è tutto dire. Proprio io, niente di meno, che ho conosciuto la mia prima fila quando, a 18 anni, mi sono trasferita a Milano e ho capito, banalmente, che per pagare una bolletta alla posta o per fare le analisi del sangue in ospedale non era necessario conoscere l'addetto allo sportello o l'infermiera dei prelievi, per fare un cenno e passare davanti a tutti. Insomma, piccoli soprusi di reminiscenza borbonica che all'ombra della Madunina non avevano attecchito.

Così, a distanza di un decennio e più, fare la fila oggi è la cosa che mi riesce più naturale. D'altronde non è stato difficile abituarsi a questa semplice regola di civiltà, o forse in un'altra vita ero austro-ungarica e nelle mie vene scorre ancora un residuo del passato. Fatto sta che la prima cosa che mi ha sconvolto di Mosca è stato proprio l'"assembramento". Un'ammucchiata disordinata di persone in qualunque luogo e in qualsiasi momento.

Alle casse del McDonald, negli ambulatori medici, davanti alle scale mobili della metropolitana, all'ingresso a teatro, insomma, in tutte le occasioni. Arrivi e non sai quale può essere la tua posizione, senza voler scavalcare a torto nessuno e venire tranquillamente scavalcata.

Superata a destra, sballottata da sinistra, una gomitata in un fianco, una borsata nell'altro e rimango sempre nello stesso punto, senza muovermi di un passo. Una situazione che all'inizio mi destabilizzava parecchio, non vedevo mai il mio turno, mentre il tempo passava.

Nonostante questo, cerco di mantenere un aplomb british e di aspettare, seppur collezionando qualche livido, il mio turno per pagare, per salire sulle scale mobili, per fare tutto quello che devono fare tutti e che sarebbe molto più facile e veloce se tutti si mettessero in fila aspettando il proprio momento senza creare confusione.

Foto: Itar-Tass

Calca che poi mi mette subito, inevitabilmente, in allerta: borseggiatori in azione? E stringo a me la borsa. Finora, ammetto, non è mai capitato, per fortuna, niente di spiacevole, ma quelle resse da concerto rock per ogni cosa continuano a togliermi il fiato. Prima regola: non soffrire di agorafobia.

Finché comunque si è a Mosca e tutti si comportano allo stesso modo, alla fine ci si arrende senza colpo ferire. Ma quando dopo mesi di Russia le stesse scene si ripetono a Fiumicino al controllo passaporti il mio essere un'austro-ungarica acquisita può venire fuori brutalmente.

Eh sì, perché molti russi in arrivo in Italia non sembrano farsi una ragione di non essere - ancora - cittadini europei. La fila per loro al controllo passaporti è quella con indiani, cinesi, giapponesi, extraeuropei anche loro.

Ma l'ultima volta che per una strana coincidenza al Terminal 3 di Roma Fiumicino i passeggeri provenienti da diversi voli internazionali si sono ritrovati tutti insieme, il caos russo l'ha fatta da padrone. Mentre giapponesi e gli altri extracomunitari si allineavano davanti agli sportelli "Tutti i passaporti", formando file bibliche, i miei compagni di viaggio russi avevano pensato bene di riversarsi in massa, e non capisco se per furbizia o abitudine, davanti agli sportelli dedicati agli europei, con tanto di bandierina blu e stelline in bella mostra. "Qui è libero - avranno pensato -. Che questi poliziotti non stiano aspettando proprio noi?".

Così, ai controlli, anche io e gli altri italiani finiamo inghiottiti nella ressa, con i poliziotti che cominciano a gridare: "No russian, No russian" e l'agente che mi prende il passaporto sbotta: "I russi hanno creato confusione". "Magari credevano di essere ancora a Mosca", rispondo tra me e me, sconsolata dopo una lunga attesa. L'ennesima evitabile.

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