Foto: Itar Tass
Nel 2012 in Russia si festeggia l’ennesima triste ricorrenza: i 67 anni dalla fine della Grande Guerra Patriottica. Con questo termine oggi si intende la guerra dell’Unione Sovietica contro la Germania nazista e i suoi alleati europei (Bulgaria, Ungheria, Italia, Romania, Slovacchia, Finlandia, Croazia). Il conflitto comprende il periodo che va dall’attacco all’Unione Sovietica del 22 giugno 1941 fino al 9 maggio (8 maggio secondo l’orario dell’Europa centrale) 1945, quando la Germania firmò la resa incondizionata.
Questa denominazione risale al messaggio via radio di Stalin ai cittadini, trasmesso il 3 luglio 1941, quando il capo dell’Unione Sovietica esortò la nazione intera a opporsi agli invasori. Questo termine è utilizzato nella Russia di oggi e in una serie di Paesi Csi (Comunità degli Stati indipendenti). Tuttavia al di là dei confini dell’ex Unione Sovietica non è altrettanto diffuso. Nei Paesi anglofoni è sostituito dal termine “Fronte orientale della Seconda Guerra Mondiale”, nella storiografia tedesca si parla di “guerra russo-tedesca” o di “campagna di Russia”.
Che cosa costringe i russi a impiegare questo nome, Grande Guerra Patriottica. nonostante l’incomprensione degli europei? Il fatto è che per i russi e per gli altri popoli stabilitisi nell’Unione Sovietica questa guerra fu effettivamente patriottica, ovvero fu una guerra per la libertà e l’indipendenza della loro patria, per la sua stessa esistenza. Secondo il piano nazista chiamato “Ost”, per esempio, il 50-60 per cento dei russi doveva essere annientato. I popoli dell’Urss fecero naufragare questi progetti. Durante la guerra furono presentate non meno di 19 milioni di richieste da parte dei cittadini per essere mandati al fronte.
Si può dire senza esagerazioni che l’esercito sovietico fu un corpo di volontari. L’appellativo “grande” invece sottolinea il ruolo di cui l’Urss si è investita. Nel discorso di Stalin sopracitato si diceva: “Lo scopo di questa guerra nazionale patriottica contro gli oppressori nazisti non è soltanto scongiurare il pericolo che incombe sul nostro Paese, ma anche aiutare tutti i popoli dell’Europa che soffrono sotto il giogo del nazismo tedesco”.
La missione fu compiuta. Benché la vittoria fu conquistata grazie gli sforzi di molti Paesi fu proprio l’Urss a distruggere le forze principali dell’esercito tedesco. La Wermacht subì più del 74 per cento delle perdite totali (10 milioni di persone su 13,4 milioni) negli scontri e nelle battaglie con l’esercito sovietico. Giudicando le azioni di quest’ultimo e la loro influenza nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il presidente degli Stati Uniti Roosevelt, ancora nel maggio 1942, così scriveva: “Dal punto di vista della strategia globale è difficile prendere le distanze da un fatto evidente: gli eserciti russi annientano soldati e armamenti nemici più di tutti gli altri 25 Stati delle Nazioni Unite messi insieme”.
Nel 1941-1945 le truppe dell’esercito rosso sconfissero e catturarono 607 divisioni avversarie, mentre gli anglo-americani ne presero circa 176. Il danno inflitto dalle truppe naziste sul fronte russo-tedesco fu, per numero di morti e feriti, sei volte superiore al totale delle vittime nei teatri di guerra dell’Europa occidentale e mediterranea. Chiaramente gli abitanti della Russia sono fieri di questa vittoria e non hanno alcuna intenzione di considerare la Grande Guerra Patriottica soltanto uno dei tanti fronti di guerra.
I russi non comprendono come sia possibile porre il segno d’uguaglianza tra la battaglia di Stalingrado, dove la Germania e i suoi alleati (Italia, Romania, Croazia) persero 840mila soldati, e lo scontro di El-Alamein, dove le perdite del nemico furono nell’ordine delle 30.000 persone. Proprio in questa chiave di lettura viene presentata la storia della Seconda Guerra Mondiale in molti manuali di storia in Europa.
Una conseguenza è la particolare atmosfera di rispetto nei confronti dei veterani di guerra che si sente all’interno della società. Purtroppo questo sentimento non si è conservato in tutti gli Stati post-sovietici. Ecco cosa scrivono per esempio i ragazzi nelle scuole lituane: “Io e molte altre persone non riusciamo a immaginarci cosa significhi per un uomo anziano andare per strada e vedere dei giovani con la svastica, seguire in televisione i vari raduni nazisti. La cosa che però fa più male è quando un giovane in piena salute si avvicina a un vecchio e osa dirgli in faccia che lui ha aiutato l’Unione Sovietica a distruggere il mondo”.
Sulle strade russe (di vie denominate in onore degli eventi e degli eroi della Grande Guerra Patriottica, soltanto a Mosca, ce ne sono 125) scene del genere non sarebbero possibili. Ovviamente anche in Russia i giovani non sono tutti uguali, ma la società e il governo percepiscono come qualcosa di inqualificabile qualsiasi atto d’insolenza nei confronti di quelle persone la cui impresa ci ha permesso di essere qui oggi. All’inizio del XXI secolo si svolgono numerose iniziative in onore degli eroi della guerra e la loro popolarità nella società è una spia del fatto che la vittoria nella Grande Guerra Patriottica è un valore eterno per i russi.
Un esempio lampante è fornito dal movimento “Georgievskaja lentochka” (Il nastrino di San Giorgio, ndr). Si tratta di un evento pubblico di distribuzione di nastrini simbolici realizzati nei colori delle onorificenze militari degli ordini dell’Impero Russo e dell’Urss. L’iniziativa è dedicata al festeggiamento del giorno della Vittoria nella Grande Guerra Patriottica e dal 2005 si svolge regolarmente ogni anno.
Occorre sottolineare che si tratta proprio dell’evento a cui i rappresentanti delle autorità governative della Federazione Russa hanno aderito in un secondo tempo. Secondo le parole degli organizzatori il loro obiettivo “è diventato l’impegno assoluto affinché le nuove generazioni non dimentichino chi e a quale prezzo ha vinto la più terribile guerra del secolo scorso, di chi siamo i discendenti, di cosa e di chi dobbiamo essere orgogliosi, di cosa dobbiamo fare memoria”.
L’evento si svolge all’insegna di slogan quali: “La vittoria del nonno è la mia vittoria”, “Mi ricordo! Ne sono fiero!”, “Siamo gli eredi della Grande Vittoria!”, “Grazie nonno per la vittoria!” e altri ancora. Del successo dell’iniziativa parlano le cifre statistiche: nei sei anni in cui si è svolta la manifestazione sono stati distribuiti più di 50 milioni di nastrini in tutto il mondo. Vi prendono parte di fatto tutti i Paesi in cui è presente una diaspora russofona. Secondo i dati dei sondaggi il 73 per cento dei russi giudica positivamente questo evento. I primi volti della nazione, Putin e Medvedev, hanno dimostrato la loro approvazione legandosi al braccio i nastrini di San Giorgio per i festeggiamenti del Giorno della Vittoria.
In tal modo è chiaro che il 9 maggio come simbolo di unità nazionale non ha subito grandi cambiamenti dai tempi dell’Unione Sovietica. I tentativi di “legare” la vittoria al regime stalinista, inculcando nei nipoti e nei pronipoti dei vincitori il senso di colpa per l’impresa degli avi, si sono rivelati un fallimento totale. I russi di oggi percepiscono quella guerra proprio come patriottica, vale a dire l’impresa di un popolo, e non si focalizzano sulla gestione politica.
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