Mosca incorona Bigonzetti

Foto: Mikhail Logvinov/Ufficio Stampa

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Il coreografo italiano ha ricevuto la "Maschera d'oro", il massimo riconoscimento nell'ambito dell'omonimo festival russo di arti sceniche

Tra i premi della sezione danza della Maschera d’oro ricevuti dagli artisti italiani, il riconoscimento forse maggiore è quello assegnato al miglior coreografo. Con il balletto “Cinque” creato per il Teatro Bolshoj di Mosca, l’ha meritato Mauro Bigonzetti, che conferma così l’ormai riconosciuta internazionalità di una carriera lunga trent’anni. Iniziata come ballerino a Roma, sua città natale, al Teatro dell’Opera, dove ha mosso giovanissimo anche i suoi primi passi di coreografo.

Parliamo con lui al termine di una prova con i danzatori di Aterballetto, la compagnia che ha diretto per un decennio e di cui resta coreografo principale, in vista di una nuova creazione che gli ha impedito di ritirare personalmente il premio della Maschera d'oro alla cerimonia tenutasi al Teatro Bolshoj il 16 aprile 2012.

Si aspettava questo riconoscimento? Come ha accolto la notizia?

Devo dire la verità: no, non me l’aspettavo. In lizza con me c’erano coreografi così famosi e importanti! Benché impossibilitato a recarmi a Mosca per la premiazione ero comunque in attesa del verdetto, che ho accolto come un riconoscimento importante, un punto di arrivo della mia carriera di coreografo. Tanto più assegnato da un Paese come la Russia nel quale sento le mie radici culturali. Nel mio immaginario di bambino che studiava danza in Italia c’era sempre come sogno la scuola russa, e mi sarebbe piaciuto perfezionarmi come ballerino a Mosca, alla leggendaria Scuola del Bolshoj. Poi la mia carriera ha preso un’altra strada, quella della coreografia contemporanea, ma l’amore per la cultura del balletto russo è rimasto.

Come è nato “Cinque”?

Si tratta di una co-produzione russo-americana, tra il Teatro Bolshoj di Mosca e l’Orange County di Los Angeles. Il balletto infatti ha avuto sia un debutto russo che americano ed è stato portato anche in tournée. La creazione è avvenuta a Los Angeles, in un mese e mezzo che ricordo come indimenticabile nella mia vita artistica e personale, per la fantastica energia che si era sprigionata lavorando con quelle cinque straordinarie ballerine: Ekaterina Krysanova, Natalja Osipova, Anastasja Stashkevich, Ekaterina Shipulina del Bolshoj, più la russa Polina Semionova dallo Staatsballett Berlin.

Foto: Ufficio stampaCosa ha immaginato per queste campionesse di tecnica classica?

Devo confessare che inizialmente ero un po’ preoccupato al pensiero di lavorare con ben cinque star. Conoscevo solo Polina Semionova – pure cresciuta alla Scuola del Bolshoj - perché su di lei avevo appena creato a Berlino il mio balletto “Caravaggio”. Allora ho cercato di… metterle in difficoltà. E all’inizio ci sono riuscito, anche perché la prima parte del balletto ha una gestualità molto teatrale, alla quale loro non sono abituate. La seconda invece punta proprio sul rigore e sulla difficoltà di quella tecnica classica che padroneggiano a meraviglia. Bello è stato vedere la loro curiosità, il loro impegno: tutte si sono sono messe completamente a disposizione del coreografo.

Perché pensa che “Cinque” sia stato premiato dalla giuria?

Forse proprio perché i giudici hanno visto per la prima volta queste ballerine classiche in una luce diversa, con una nuova personalità, che il mio lavoro dev’essere riuscito a tirare fuori.

Si aprono altre prospettive in Russia adesso per lei?

Sì, dev’essere destino la mia frequentazione con questo Paese: vi danzai tanto tempo fa da ballerino, molte volte ho accompagnato in tournée Aterballetto, che anche di recente è stato accolto a Mosca molto calorosamente e ora, grazie a “Cinque”, che era la mia prima creazione per il Bolshoj, le porte di questo splendido teatro sono aperte per nuove creazioni: ne stiamo parlando.

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