Il mondo secondo Putin, i commenti

Vignetta: Niyaz Karim

Vignetta: Niyaz Karim

Le parole del primo ministro russo, candidato alle presidenziali, sul suo programma di politica estera sollevano prese di posizione diverse

Due illustri posizioni sulla visione di politica internazionale esposta dal premier Vladimir Putin, candidato alle presidenziali del 4 marzo 2012, nel suo ultimo articolo.

L'opinione di Aleksandr Gabuev, editorialista politico del Kommersant

Kommersant
Aleksandr Gabuev

Qual è la ragione dell’esasperata irritazione che sembra trapelare dalla selva di articoli su Putin? Forse una sola. Ai dibattiti politici il candidato Putin non partecipa, nell’etere si esibisce per lo più in numeri di magia preelettorale per allietare nuove schiere di migliaia di contribuenti che pagano di tasca propria, alle manifestazioni in suo favore esorta  i cittadini a morire per lo zar e per la patria. Ma  proprio in simili articoli si riesce a trovare una risposta all’interrrogativo più pressante: che cosa spinge Putin a tornare? Quali nuove idee ha da proporre? Chi è mai questo signor Putin 2? L’articolo “La Russia e il mondo che cambia”, dedicato alla politica estera, ci aiuta a dare una risposta esauriente a tali interrogativi. La politica estera del candidato alla presidenza  Putin 2  non differisce affatto da quella del Presidente Putin 1.


Nell’ormai annoso cammino intrapreso da Putin la politica estera figura tra le prime istanze. Putin promette una politica estera che scaturisca “da interessi e scopi indipendenti e autonomi, e non dettata da ingerenze altrui”  e che dovrà riflettere “il posto eccezionale occupato dalla Russia nello scacchiere politico internazionale, e il suo ruolo nella storia e nello sviluppo della civiltà”. A rappresentare un pericolo per la patria sono gli stessi antichi personaggi di sempre, che insinuano dubbi, sollevano interrogativi e minano la fiducia e qui il candidato Putin non sembra avere esitazioni: gli Stati Uniti e la Nato.

La loro ingerenza negli affari interni degli stati sovrani  è la radice di tutti i mali del mondo. Secondo Vladimir Putin le stesse mire nucleari dell'Iran e della Corea del Nord non sarebbero che uno degli esiti di questi interessi esterni: se gli americani se ne fossero rimasti tranquilli dall’altra parte dell'oceano, gli ayatollah iraniani non sarebbero stati neppure sfiorati dall’idea di costruire una bomba atomica. E via discorrendo, secondo un modello già collaudato negli interventi di Monaco secondo il quale  non si tollererà, né si perdonerà alcun tentativo da parte di chicchessia di creare linee di demarcazione.


I piatti della politica estera putiniana sono quelli dell’ormai vecchio e ritrito menu. Ne fanno parte le pericolose Ong sponsorizzate dall’Occidente, i gasdotti del corridoio Nord e del corridoio Sud che dovrebbero salvare l’Europa, la famigerata Agenzia per la difesa missilistica (Mda) e gli estoni e i lettoni cattivi. Nel corso degli anni lo chef ha mantenuto il suo brillante repertorio. Da qui la proposta di creare un’alleanza europea per  ricostruire gli equilibri mondiali e rimuovere l’indebita influenza degli Stati Uniti e della Nato. Persino dagli avvenimenti della “primavera araba” pare aver tratto un’unica lezione determinante: “Questi tragici eventi sono stati provocati non dalla preoccupazione di salvaguardare dei diritti umani, ma da un interesse esterno nella ridefinizione dei mercati”. Perciò la responsabilità di tutti i problemi andrebbe imputata a degli invasori democratizzatori,  a governanti che hanno preso il potere facendo piazza pulita del vecchio sistema per imporre un’alternativa politica, da radicali colti, completamente estranei alla politica. È curioso che i  quattro anni di mandato di Dmitri Medvedev, con il suo approccio più originale  alla politica estera, non trovino alcun riflesso in questo articolo.


Si allude di sfuggita alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia, non votata dalla Russia, che Putin definisce un errore. Anche la parola preferita da Medvedev "reset", nell'articolo non viene menzionata neppure una volta. Intanto, malgrado tutte le incoerenze e le contraddizioni in campo diplomatico degli anni di Medvedev, si è andato definendo un obiettivo chiaro e legittimo: la politica estera deve operare per l’economia del paese, cercando un’intesa coi partner giusti che possa diventare  la  fonte di investimenti e di sviluppo tecnologico per superare il divario sempre crescente con i nostri vicini più autorevoli. E, soprattutto, per far uscire  la Russia dall’attuale gap. Ma questa idea non sembra galvanizzare Vladimir Putin. Manca di appeal autoritario e di slancio giovanile. 

La versione originale del commento è stata pubblicata sul Kommersant

L'opinione di Nikolaj Zlobin, Direttore dei programmi russi ed asiatici del Centro Informazioni Difesa degli Stati Uniti

Nikolaj Zlobin

Non sono d’accordo con i primi commenti fatti sull’articolo, secondo i quali Putin ha speso parole troppo aggressive nei confronti di Stati Uniti e Occidente. Anche io, però, ho tutta una serie di critiche da fare all’articolo. Dovendo menzionare le principali, mi viene in mente prima di tutto la mancanza di una sezione dedicata alla politica della Russia nello spazio post-sovietico. Sebbene, stando alla dottrina di politica estera, questa parte sia centrale nella politica estera della Russia. 

In secondo luogo, non sono d’accordo con quello che ha detto Putin sulle “maniere dolci” (il raggiungimento di obiettivi di politica estera senza fare ricorso all’uso di armi, a spese di mezzi informativi o di altro tipo). Ho idea che questo sia uno strumento molto importante nella politica internazionale contemporanea e la Russia deve utilizzarlo e svilupparlo. Non bisogna diffidare di questo mezzo, ma, al contrario, sfruttare le possibilità insite nelle “maniere dolci”. D’altra parte, non credo che in Occidente o altrove l’articolo possa suscitare timori.

La versione originale del commento è stato pubblicato su Forbes.ru 

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