Ritorno alle origini

In Russia si diffondono a macchia d'olio eco-villaggi in cui la vita sembra essersi fermata a decenni fa. È la fine della corsa al progresso?



Un gruppo di persone, di età diverse, impasta l’argilla con i piedi in una fossa rettangolare. Vi aggiungono poi la paglia e mescolano di nuovo. È un lavoro faticoso, ma tutti ridono e scherzano, alcuni addirittura cercano di ballare. In breve tempo l’argilla diventa così densa che le gambe vi rimangono bloccate.

Le persone si chinano e iniziano a plasmare delle sfere, grandi quanto la testa di un bambino. Quando sono pronte, i lavoratori formano una riga e se le passano l’uno con l’altro. L’ultimo della riga getta, con forza, la sfera sul muro, questa si appiattisce e il muro cresce ancora un po’; per la fine dell’estate i lavori saranno conclusi e comparirà un’altra casa in terra cruda.

Le costruzioni di terra o argilla non rappresentano di certo la soluzione più comoda, ma sono ecologiche e a basso costo; dopotutto, in un periodo in cui il settore immobiliare prende i consumatori per la gola, c’è ben poco da scegliere.

Vivere in epoca sovietica aveva i suoi svantaggi, ma anche un importante vantaggio: la popolazione credeva in un futuro brillante, quale risultato naturale del progresso in atto sulla terra. In altre parole, credeva che la vita migliorasse di anno in anno e che il progresso fosse qualcosa di positivo. L’attuale società russa, invece, dubita sempre di più sul fatto che il mondo stia cambiando davvero in meglio e che questo famigerato “progresso” porti realmente a dei vantaggi.  

Non stiamo parlando del fatto che non siamo stati ancora in grado di eliminare, dalla faccia della terra, guerre, malattie e fame; né tantomeno di problemi economici, diversità sociali o declino morale. Al giorno d’oggi, i dubbi riguardano ciò che fino a poco tempo fa erano considerati beni incontestabili. Stiamo parlando delle invenzioni tecniche, ideate per facilitare e migliorare la vita dell’uomo. Molte di esse, oggi, provocano apprensione e persino paura. Le testate dei giornali lo confermano: “I telefoni cellulari causano il cancro al cervello”, “Rimanere troppo tempo davanti a un computer può rendere cechi”, “I prodotti di plastica sono nocivi per la salute”!

L’evidente abbondanza di merci e prodotti, alcuni dei quali sono entrati solo recentemente nella vita dei russi, ha rivelato in realtà problemi e pericoli. Si incontrano sempre più spesso persone che considerano l’aspirapolvere, il televisore, il dentifricio, lo shampoo, gli abiti sintetici e il cibo fast food dannosi per la nostra salute. Si tratta di oscurantismo medioevale o semplicemente di un tentativo di difenderci da avidi produttori, che riducono continuamente la qualità dei loro prodotti in favore dei profitti? 

In passato, i russi cercavano di trasferirsi a tutti i costi nelle grandi città, dove si riteneva fosse più facile e comodo vivere. Ora, invece ha luogo una migrazione nella direzione opposta: dalle città asfissianti ai villaggi. I protagonisti di questo “ritorno” trovano assolutamente insostenibile continuare a vivere in angusti ghetti d’asfalto, dominati da rumore, smog, immondizia, traffico, affitti improponibili, criminalità, prepotenza della polizia, corruzione, acqua avvelenata e cibo immangiabile dei supermercati…

La Russia è per tradizione un Paese di piccoli centri agricoli. Tuttavia, con il crollo dell’Unione Sovietica, la maggior parte dei villaggi sono stati distrutti e abbandonati, i loro abitanti si sono demoralizzati e sono diventati degli ubriaconi. Allora dove possono andare gli abitanti della città, che ben poco sanno di come si munge una mucca o si rincalza una patata? Questi ex- abitanti di città si riuniscono in gruppi e danno vita agli ecovillaggi.

La differenza tra un ecovillaggio e un villaggio risiede proprio nei loro abitanti. La popolazione dei villaggi è nata lì e ci vive, osservando le tradizioni locali, mentre gli abitanti di un ecovillaggio arrivano dalla città, ispirati da determinate idee “ecologiste”. Queste idee sono spesso vicine a quelle del buddismo: rifiuto della carne, dell’alcol e del tabacco, negazione della violenza e della decadenza morale. Più la vita è naturale, meglio è: solo materiali ecologici per le costruzioni e solo cibi biologici. Bambini tanti “quanti Dio comanda”, e non quanti consigliano gli esperti specializzati nella pianificazione familiare.

Sulla carta e sui forum di Internet tutto questo sembrerebbe un idillio, un tentativo di ritornare al paradiso perduto. Ma è davvero così? Per affrontare i problemi più impellenti, come la casa, gli abitanti degli ecovillaggi costruiscono abitazioni semplici e poco costose. Per erigere la classica dimora in legno russa sono necessari esperienza e, ovviamente, mezzi: i boschi al momento non sono una risorsa gratuita. Risulta molto più semplice costruire una casa in terra cruda (argilla mescolata a paglia), se non in semplice paglia.   

Alcuni consigliano di costruire “tane di volpe”, case che sono in parte sottoterra. Questo, dicono, risolverebbe il problema del riscaldamento. Forse lo risolve davvero, ma gli abitanti dei villaggi si prendono gioco di quelli degli ecovillaggi: nelle costruzioni di argilla e nelle capanne, vivevano i servi della gleba durante l’epoca degli zar, e i partigiani quando si nascondevano dai fascisti nei boschi. I “coloni” controbattono: il lato positivo è che se le autorità decidono di radere al suolo una di queste abitazioni economiche, è possibile costruirne immediatamente una nuova. La maggioranza degli abitanti degli ecovillaggi non si fida delle autorità a tal punto che sarebbe disposta a vivere in un sistema comunale primitivo, pur di non avervi a che fare.   

L’alimentazione costituisce un capitolo a parte. Per “sopravvivere all’apocalisse” e “garantire la salute dei propri figli” è necessario coltivare i propri prodotti: assortiti, rispettosi dell’ambiente, e in quantità sufficienti per l’inverno. Tra gli abitanti degli ecovillaggi, che non sono abituati al duro lavoro nei campi, gode di grande popolarità la tecnica della permacultura, i cui apologisti sono l’austriaco Sepp Holzer e il giapponese Masanobu Fukuoka. Il punto centrale di questo metodo di coltivazione sta nell’idea che le piante coltivate crescono in simbiosi con quelle selvatiche, così come in natura, aiutandosi l’una con l’altra. Pertanto, non è necessario arare e concimare il terreno, né passare il diserbante per le erbacce o il veleno per gli insetti nocivi. Le piante, da sole, si capiranno a vicenda tra di loro e con gli insetti, nei migliore dei modi.  

“Qui è dove ho piantato i pomodori, mentre qui ci sono le angurie … Ho semplicemente sparso i semi, e guarda, sono cresciuti da soli”, Valera, un Hare Krishna, mi mostra il suo appezzamento di terra, nel villaggio di Sinegor’e.  Cammina per il pendio ricoperto di felci e, spostando con le mani le foglie delle erbacce, individua piante di pomodori e angurie. “La coltivazione dovrebbe essere condotta in modo tale da passare sul campo solo due volte: una volta per la semina e la seconda per la raccolta. E sarebbe ancora meglio se si passasse solo per la raccolta”.   

L’insediamento di Sinegore si trova nella regione di Krasnodar. È stato fondato da un gruppo di anastasievcy, una setta religiosa che predica una vita autentica lontano dalla città, ma che accetta nel villaggio anche persone di altri credi: cristiani ortodossi, induisti, pagani, ateisti, a patto che siano “persone normali e che non bevano”, perché se bevono, andrebbero bene per qualsiasi altro villaggio russo.

Lo stesso Valera è arrivato nella generosa regione di Krasnodar dal freddo Primor’e, nella Siberia Orientale, dove i semi di anguria  germogliano con più difficoltà. L’uomo non beve alcol, non mangia carne, prepara pietanze vegetariane indiane, cucina pane azzimo e, quando si siede a tavola, augura, quattro volte ad alta voce, felicità a tutti.

Nei primi tempi, mentre i “coloni” si sistemano, vivono dei guadagni della loro precedente vita in città. Poi iniziano le difficoltà finanziarie. Non è così facile investire il 100 per cento dei propri risparmi, senza godere di un reddito stabile; così come non è semplice dedicarsi ogni giorno a lavori fisici. Valera sta già costruendo la sua seconda casa, la prima, purtroppo, è andata bruciata; mentre i suoi vicini che, già 6 anni fa, hanno deciso di costruire una casa in terra cruda, per il momento hanno eretto solo la struttura portante e vivono assieme ai due figli, ancora piccoli, in una costruzione temporanea, ricoperta di polietilene e che ricorda molto una serra per i fiori.

Nella calda regione di Krasnodarsk, questo è possibile. In un villaggio vicino si sono trasferiti Nikolaj e Galina, originari di Sochi. La coppia ha comprato un piccolo appezzamento di terra e nel giro di un mese vi ha costruito una casa di due piani in mattoni di paglia. All’esterno i mattoni sono rivestiti di argilla, mentre all’interno sono ricoperti da pannelli di cartongesso, così che la casa promette di essere calda e asciutta. L’unico inconveniente potrebbero essere i topi, ma come suggerisce la padrona di casa: “Meglio optare per la paglia di riso, i topi non la mangiano”.

Al giorno d’oggi, l’idea di vivere su un terreno di proprietà è nell’aria. Le persone sognano di costruire una casa tutta loro, di vivere in un luogo pulito, e “di ritornare alle origini”. La domanda è: che cosa si nasconde dietro queste fughe caotiche dalle città,  vere e proprie prigioni industriali? Saranno poi felici queste persone o al contrario, dopo aver venduto tutte le loro proprietà in città, non riusciranno ad adattarsi nel villaggio, e li attenderà solo una delusione? È possibile la seconda variante, ma dobbiamo riconoscere il coraggio di queste persone, che si dimostrano disposte a rinunciare ai soliti comfort della città per andare a vivere in una capanna. Almeno cercano di cambiare qualcosa di una vita che non li soddisfa più. E lo Stato, i cui i cittadini fuggono nei boschi, dovrebbe riflettere sulle ragioni di questo fenomeno. 

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