Foto: Itar-Tass
Come era previsto, e anche questa volta non è che vi volesse molta fantasia, il presidente uscente del Turkmenistan, Gurbanguli Berdymuhamedov, è stato riconfermato sul trono di Asghabat con il 97% dei voti. Percentuale che la dice tutta su diverse cose: dalla democraticità del Paese (a dire il vero è anche possibile che i turkmeni abbiano votato in massa per la seconda volta l’ex medico personale del defunto Turkmenbashi, così come ad esempio il campione della democrazia georgiana Mikhail Saakashvili è stato eletto nel 2004 con oltre il 96%), al fatto che tutto sommato quello che succede al di là del Caspio interessa molto poco all’Occidente, se non quando si tratta di andare a elemosinare un po’ di gas o petrolio.
Il Turkmenistan non sarà infatti la Corea del Nord o lo Zimbabwe – anche se poco ci manca dando un’occhiata alle varie classifiche internazionali che misurano libertà civili e politiche, diritti umani e banalità del genere – ha però il vantaggio di essere più vicino all’Europa è soprattutto di possedere enormi quantità di oro blu, che qualcuno non solo a Ovest dovrà pur comprare. E così, se le alleanze con Paesi considerati non proprio democratici come Cina, Russia, Iran e anche Turchia sono già da un pezzo la priorità di Berdymukhamedov, che continua la strategia del suo predecessore Saparmurat Niyazov, anche l’Unione Europea ha cominciato a fare la corte al satrapo turkmeno, con l’occhio alle nuove pipeline che potrebbero essere costruite sulla direttrice Ashgabad-Bruxelles.
A dire il vero il Nabucco è un po’ in ribasso rispetto a Southstream, ma il grande gioco dei gasdotti continua. Berdymuhamedov e il presidente afgano Hamid Karzai si sono incontrati poco tempo fa per discutere sul Tapi, il megaprogetto caro agli americani che porterebbe oro blu dal Caspio sino in India, passando per Afghanistan e Pakistan.
La solidità del Turkmenistan, con le carenze democratiche sulle quali dagli Usa all’Ue non ci si vuole soffermare troppo, è in fondo un fattore importante per la stabilità dell’intera regione, visto l’aria che tira da Teheran a Kabul: la sua importanza strategica sulla tavola energetica ne fa un tassello fondamentale che a nessuno degli attori in gioco conviene sottovalutare. Ecco perché alla vigilia di queste elezioni non ci sono state pressioni internazionali né ci saranno nel futuro immediato. Troppo importante è la posta in palio per giocarsela con qualche dichiarazione di troppo. È in questi momenti che viene alla luce il classico doppiopesismo occidentale, che mostra quanto siano strumentali critiche e minacce che Washington o Bruxelles fanno piovere a corrente alternata solo su determinati obbiettivi della scacchiera euroasiatica. Un po’ come la nuvoletta di Fantozzi.
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