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Credit: Niyaz Karim |
23 dicembre 2011
I padroni della strada, nella notte moscovita, sono i taxi. Abusivi, ovviamente. Vecchie zigulì con i sedili foderati di stoffa leopardata, gli ammortizzatori ormai andati e l’odore stagnante di benzina che si attacca dentro e fuori la carrozzeria. Dopo la chiusura della metro, all’una di notte, per tornare a casa non c’è altra soluzione che mettersi sul ciglio della strada, allungare una mano, e contrattare con il primo tagiko che accosta l’auto.
È lo stesso copione di sempre quello che si è ripetuto anche l’altra sera. All’incrocio tra la Mokhovaja e la Bolshaja Nikitskaja, in pieno centro, allungo una mano nel gelo siberiano. E aspetto che qualcuno si fermi.
Immediatamente si affianca una macchina rossa, vetri scuri e musica techno a tutto volume. Dentro c’è un signore di mezza età, dai lineamenti sicuramente non russi. Tagico, kazako, o giù di lì, penso. Gli dico la via. Propongo il prezzo. Storce la faccia, ma si accontenta di portarmi a casa per 200 rubli, circa cinque euro.
Per radio trasmettono una hit delle canzoni dance degli ultimi tempi. Per fortuna abbassa la musica, e dopo qualche minuto mi ritrovo a parlare. Del freddo, del tempo, dei soliti luoghi comuni, giusto per non cedere il posto al silenzio. Si accorge immediatamente che sono straniera. “Italiana?”, Dice. “Mamma mia! Buongiorno principessa!”, scandisce, esagerando la gestualità delle mani, raddoppiando qualsiasi consonante incontri nella frase. Rido, pensando che le mie frasette stentate in russo faranno lo stesso buffo effetto.
Foto: Itar-Tass
E così iniziamo a chiacchierare. Capisco che viene dal
Tagikistan e che è arrivato a Mosca cinque anni fa. Per vivere fa quello che
fanno moltissimi suoi connazionali: ogni notte macina chilometri su e giù per
le vie della capitale accaparrandosi clienti fugaci.
L’auto avanza pesante e con qualche singhiozzo mentre fuori
cade la neve. Mi chiedo come faccia ad andare in moto senza problemi visto che la
mia macchina, appena in Italia si sfiora lo zero, si rifiuta categoricamente di
avviarsi.
L’autista inizia a farmi domande. Mi chiede subito se sono sposata: una domanda che, da quanto ho capito io, in Russia è ormai una prassi. Mi racconta della sua ex moglie, che lo ha abbandonato per mettersi con un uomo più giovane. Di suo figlio, sperso in qualche città della Russia che non conosco. E poi del suo lavoro, che gli permette di tirare avanti in un piccolo appartamento che condivide con altra gente.
La conversazione prosegue così per tutta la durata del viaggio. Mi racconta di lui e curiosa un po’ nella mia vita: cosa faccio e perché sono a Mosca. Mi rendo conto che anche lui, lì, si sente straniero come me.
Alla fine arriviamo davanti al portone di casa. Cerco in borsa il portafogli e vado per dargli il pattuito. Ma in quel mentre lui scuote la testa. “È lo stesso, lascia stare”, dice. Io insisto, ma ripete che i soldi non li vuole.
Così ringrazio e scendo dall’auto, pensando che forse il compenso più grande per lui è stato quello di ricevere solo un po' di attenzione e avere la possibilità di fare due chiacchiere con una straniera come lui. Una bella sensazione anche per me, nel gelo della città.
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