Vignette: Niyaz Karim
Sebbene si facciano molte congetture sulla performance dell’economia mondiale nel 2012, una cosa appare ormai certa: i Paesi capitalisti sviluppati andranno incontro a una contrazione dell’economia, o quanto meno a una crescita stentata, mentre il mondo in via di sviluppo avanzerà a grandi falcate. Secondo il recente rapporto sulle Prospettive economiche globali redatto dalla Banca Mondiale, la zona euro potrebbe andare incontro a una contrazione dello 0,3 per cento mentre gli Stati Uniti nella migliore delle ipotesi arriveranno a un aumento del 2,2 per cento.
L’economia mondiale nel suo complesso crescerà quest’anno del 2,5 per cento grazie alla presunta espansione di 4,5 punti percentuali nelle economie dei Paesi in via di sviluppo. Proprio come accadde già tre anni fa, il mondo scamperà al tracollo economico grazie al salvataggio operato dalla crescita nei Paesi emergenti, prima di tutto dal gruppo di quelli più importanti, i Brics, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.
Questo fenomeno dimostrerà quanto sia veritiera la previsione del Fondo monetario internazionale secondo il quale le economie emergenti prese tutte insieme genereranno entro il 2013 oltre la metà della produzione globale misurata a parità di potere d’acquisto (Ppp). Questo cambiamento globale epocale è la conseguenza di due decenni di espansione economica in quattro dei Paesi Brics.
A partire dal 1992 il Pil della Cina è andato crescendo di 5,3 volte, quello dell’India di 3,5 e quello del Brasile è più che triplicato. Vale la pena osservare che questa crescita è andata di pari passo con la diversificazione strutturale delle economie, con un rinnovamento della loro base industriale e delle infrastrutture, come pure un’espansione e un potenziamento del potere d’acquisto, dei servizi sociali e del welfare statale.
Ma come si prospetta per contro la situazione in Russia? Nel medesimo periodo considerato la Russia ha subito un declino industriale e tecnologico più distruttivo e devastante delle perdite da essa subite durante la Seconda Guerra Mondiale. Di conseguenza, la Russia ha raggiunto soltanto nel 2007 il livello di Pil degli anni Novanta, mentre il volume della sua produzione industriale è rimasto inferiore a quello dell’epoca sovietica.
In termini di Pil stimato in Ppp dal Fmi, la Russia adesso si colloca al sesto posto nella classifica mondiale, mentre la Cina occupa saldamente il secondo. A differenza della Cina e degli altri Paesi Brics, che stanno aumentando ininterrottamente la loro produzione industriale, i principali fattori trainanti dell’economia russa continuano a essere i consumi interni e l’esportazione di materie prime.
La stragrande maggioranza delle imprese russe non si sta espandendo per mancanza di investimenti stabili (quantunque in questo caso facciano eccezione i settori dell’estrazione, dei metalli e dell’industria per la Difesa). Il governo russo auspica di riuscire ad aumentare gli investimenti fissi portandoli al 25 per cento del Pil, mentre in Cina già raggiungono il 45 per cento del Pil. Il flusso di capitali in uscita verso l’estero dalla Russia (85 miliardi di dollari nel 2011), per contro, è oltre il doppio del flusso degli investimenti diretti dall’estero (circa 36 miliardi di dollari). Anche un pareggio di bilancio, l’attuale eccedenza delle partite correnti e le considerevoli riserve di valuta forte (500 miliardi di dollari alla fine del 2011) non riescono ad assicurare alla Russia una ripresa tecnologica e un leverage più competitivo.
L’economia mediocremente diversificata, sempre subordinata alle importazioni di prodotti hi-tech e perfino di alcuni prodotti agricoli, colloca la Russia in una posizione di dipendenza pressoché assoluta dai capricci del mercato mondiale delle materie prime. Il Paese dunque potrà andare incontro a una recessione anche quest’anno, nel caso in cui il prezzo mondiale del petrolio scendesse al di sotto degli 80 dollari a barile.
È molto probabile pertanto che in seguito a una brusca diminuzione del prezzo del petrolio assisteremo al ripetersi delle gravi contrazioni che hanno interessato il Pil in Russia nel 2009 (-7,8 per cento). Nel settembre 2011 la Banca mondiale ha inoltre reso nota la sua previsione di una caduta della crescita del Pil nel 2012 dal 4,4 per cento del 2011 al 3,5 per cento circa.
La Russia, per altro, ha un altro punto di forte vulnerabilità e del quale si parla assai di rado. All’apice della recessione del 2009, il quotidiano economico russo Vedomosti fece notare che la crisi portava in primo piano il fatto che l’economia russa non era amministrata dal governo, bensì da pochi oligarchi che monopolizzavano le industrie redditizie e influenzavano le politiche economiche statali. La tesi evidenziata dal quotidiano fu confermata non appena le passività all’estero degli oligarchi furono salvate in extremis dal governo del primo ministro Putin con un bailout apposito, e con una spesa di oltre tremila miliardi di rubli per il budget federale. Ciò si verificò quando le piccole e medie imprese russe ebbero urgentemente bisogno di fondi per sopravvivere alla crisi e quando i problemi del paese, con le sue obsolete infrastrutture, iniziarono a farsi sempre più acuti.
Vedemosti rese altresì noto che gli oligarchi custodiscono gli asset delle loro aziende in società offshore e mantengono financo i loro capitali operativi nelle banche occidentali per sottrarsi al regime fiscale in patria. Questi ingenti capitali nascosti non costituiscono soltanto una perdita secca per l’economia interna, ma oltretutto, in effetti, asset del valore di svariate migliaia di miliardi di dollari delle aziende russe non sono più soggetti in alcun modo alla giurisdizione russa.
Se lo sviluppo economico duttile e sostenibile e le relative importanti strategie rappresentano i parametri principali per valutare la posizione globale delle nazioni emergenti, la Russia in realtà non appartiene al novero di queste ultime. La sua disastrosa posizione attuale rispetto al gruppo dei Brics è una conseguenza diretta delle decisioni prese venti anni fa, quando l’economia russa passò dal socialismo dalla faccia cattiva al capitalismo dalla faccia distorta. Proprio questa distorsione evitò che la Russia si dotasse di un’economia di mercato e di un sistema del welfare di tipo europeo.
Queste strategie neoliberali che l’economia russa continua a seguire furono prese in prestito dagli Stati Uniti dal team di riformisti dell’allora Presidente Boris Eltsin. Oggi molti economisti progressisti occidentali riconoscono i problemi connessi a questa ideologia neoliberale e guardano e indicano il fenomenale successo della Cina, la cui élite al governo ha adottato una strategia per lo sviluppo nazionale verso la quale convergono la pianificazione statale e le politiche industriali con l’orientamento dei mercati e l’incoraggiamento delle imprese. Ciò rende più che ovvio che la decisione da parte della Russia di proclamare la supremazia delle forze di mercato nello sviluppo economico è stata di fatto un errore cruciale.
Le recenti manifestazioni di piazza che hanno sconvolto la Russia non sono state innescate soltanto dalla protesta per i brogli elettorali nelle elezioni per il parlamento, ma anche da una critica profonda nei confronti del fallimento del regime, che non ha assicurato uno sviluppo economico e sociale consistente, non ha saputo ridurre maggiormente le sperequazioni di reddito, non ha combattuto e represso la corruzione, non ha incoraggiato le imprese del settore privato.
Nell’epoca di Internet e dei viaggi low cost all’estero, i russi possono constatare che perfino paesi molto arretrati fino a poco tempo fa hanno saputo mettere a punto efficienti strategie di crescita e di miglioramento sociale. I recenti dibattiti tra i candidati alla presidenza della Russia rivelano che un cambiamento radicale delle strategie economiche e sociali costituisce un punto fondamentale di discussione tra le élite politiche. Ma soltanto dopo il 4 marzo potremo sapere se saranno effettivamente in dirittura d’arrivo vere riforme.
Felix Godyunov è uno giornalista specializzato in economia, abita a Mosca e da oltre trent’anni si occupa di questioni di economia internazionale e di commercio
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