Vignette: Niyaz Karim
In
occasione del Forum economico mondiale di Davos, gli imprenditori russi si sono
espressi sulla stessa lunghezza d’onda e in maniera molto simile a quella del governo.
Con parole quasi identiche, gli imprenditori si sono lamentati sui canali internazionali
di economia, come Bloomberg e Cnbc, circa la “percezione della differenza” tra
la realtà russa e la concezione occidentale e internazionale del Paese.
Alla
domanda sulle proteste di piazza che hanno avuto inizio dopo le elezioni
parlamentari russe del 4 dicembre 2011 hanno di nuovo sostenuto, quasi all’unanimità,
che in un Paese di 140 milioni di abitanti e circa 60 milioni di elettori,
decine o addirittura centinaia di migliaia di manifestanti non rappresentano un
numero significativo, anche se alcuni hanno ammesso che i manifestanti dovrebbero
essere ascoltati. Al di là di questo, però, gli imprenditori hanno evitato di
rispondere a qualsiasi domanda diretta sul primo ministro Vladimir Putin o sulla
politica del Paese, e ancor di più di
criticarli. Questo, naturalmente, non è sorprendente data la sorte di oligarchi
come Vladimir Gusinsky, Boris Berezovsky e Mikhail Khodorkovsky.
Ma cosa intendono
esattamente questi imprenditori per “percezione della differenza”? Per prima
cosa, il governo russo, gli imprenditori russi e le banche d’investimento russe
e internazionali che operano nel Paese hanno giustamente preso atto da anni che
gli asset russi sono sottovalutati rispetto a quelli dei mercati sviluppati e
in via di sviluppo.
L’esempio
classico è Gazprom, che alcuni anni fa è stata per un breve lasso di tempo la
più grande azienda al mondo per capitalizzazione di Borsa quando i prezzi delle
materie prime continuavano a crescere. Alcuni esponenti del Governo e top manager
di Gazprom hanno previsto che la società avrebbe presto raggiunto un valore di 1
trilione di dollari (750 miliardi di euro, ndt).
Ma è anche
comunemente riconosciuto che Gazprom viene utilizzata dal governo per
raggiungere obiettivi di politica sia interna che estera, come ad esempio, le
guerre del gas con l’Europa. Questo a sua volta conduce alla percezione che
Gazprom non è guidata solo da principi commerciali, cosa che incide inevitabilmente
sui suoi ricavi lordi e sugli utili netti, e a sua volta riduce notevolmente la
sua capitalizzazione di Borsa.
Riflessioni
simili si applicano anche a Rosneft e ad altre grandi compagnie in cui il governo
detiene delle partecipazioni di maggioranza. Il governo, tuttavia, si rifiuta
di riconoscere che questa ragione è alla base della relativamente bassa
capitalizzazione di Borsa delle imprese russe, preferendo dare la colpa a
presunte politiche occidentali che mirerebbero a indebolire il Paese.
Queste
teorie della cospirazione non solo ottengono frutti in Russia, contribuendo a consolidare
il consenso, ma riducono anche la percezione della necessità di cambiamento. Ma
il rifiuto di trovare una causa più vicina a casa comporta che le aziende russe
perdano migliaia di miliardi a causa della bassa capitalizzazione di Borsa e
altre opportunità.
Tutto questo
è aggravato dalla pessima reputazione della Russia e dal sistema economico, che
non è migliorato sotto la presidenza di Putin. Anche gli esperti russi
giustamente affermano che la corruzione e la burocrazia sono peggiorate
notevolmente dal 2000 e ora ostacolano lo sviluppo del Paese.
La
politica russa e il flusso costante di cattive notizie provenienti dal Paese
inviano segnali negativi al mondo esterno. La bancarotta della compagnia
petrolifera Yukos e l’arresto di Mikhail Khodorkovsky, una serie di processi di
alta risonanza in cui grandi società occidentali sono uscite sconfitte dopo
notevoli investimenti, e il più recente attacco a un politico, a un banchiere, a
un imprenditore o a un giornalista - si sommano scoraggiando gli investimenti e
rendendo i prezzi degli asset russi più bassi di quanto non dovrebbero essere. Nel
2011, la Bbc World
Service ha riferito che gli imprenditori russi subiscono spesso delle pressioni
per cedere le loro aziende. Se rifiutano, non solo perdono la loro impresa in
ogni caso, ma finiscono anche in galera. Secondo la Bbc, circa un terzo degli
imprenditori del Paese si trova dietro le sbarre.
Ma invece
di risolvere il problema, il governo e numerosi imprenditori e le banche d’investimento
internazionali vorrebbero ignorare questi aspetti negativi e concentrarsi
esclusivamente sul business. Anzi, giustamente segnalano i miglioramenti in
Russia, ma gli scettici e realistici corrispondenti internazionali da Mosca non
credono alla storia della lotta contro il retroterra di corruzione e
burocrazia, spesso affermando invece che la Russia è una cleptocrazia e un semi-autoritario
Stato petrolifero. Anzi, a volte hanno addirittura riesumato la vecchia accusa
all’Unione Sovietica di essere un “Alto Volta (fino al 4 agosto 1984, il nome della nazione africana oggi chiamata
Burkina Faso, ndr) con i missili nucleari” (così il politico tedesco Helmut Schmidt definì l’Unione Sovietica, ndr).
Uno dei
paradossi dello Stato russo è che, mentre dall’esterno sembra forte e
repressivo e in grado di controllare facilmente gli imprenditori ribelli, in
realtà è troppo debole - e probabilmente troppo riluttante - per creare un
ambiente positivo per le imprese.
Purtroppo la Russia, come il Regno Unito
dopo la Seconda Guerra
Mondiale, ha perso un impero e non ha ancora trovato un ruolo. Risente ancora
dell’arroganza imperiale e resta desideroso di imporre la propria visione
positiva di sé sul mondo esterno. La
Russia semplicemente non si rende conto che questo approccio
è destinato al fallimento fin dal principio; ed è la ragione per cui i suoi
sforzi di pubbliche relazioni falliscono miseramente.
Vladimir
Putin sta oggi conducendo la campagna elettorale sul tema della stabilità, ma
né lui né la maggior parte dei russi hanno compreso quanto il mondo stia
cambiando velocemente e che abbracciare il cambiamento è l’unica possibilità. I
paesi che non lo fanno o non possono farlo, rimarranno semplicemente indietro.
Questa è la reale percezione della differenza di cui gli imprenditori russi avrebbero
dovuto discutere a Davos.
Ian Pryde è fondatore e Ceo di Eurasia Strategy & Communications a Mosca
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