- “Izobrazhaja zhertvu” (“Nei panni della vittima”). Una commedia nera di Kirill Serebrennikov
- “Ejforija” (“Euforia”) e “Kislorod” (“Ossigeno”). Due tragedie su un amore inatteso sul pittoresco sfondo delle steppe russe, di Ivan Vyrypaev
- “Izgnanie” (“L’esilio”) e “Elena”. Due drammi familiari, di Andrej Zvjagincev
- “Nastrojsh’ik” (“L’accordatore”). Un film in bianco e nero, di Kira Muratova
- “Boginja: kak ja poljubila” (“La dea: come mi sono innamorata”). Un dramma surrealistico, di Renata Litvinova
- “Zhest’” (“Spazzatura”). Un thriller psicologico, di Denis Neimand
- “Zakrytye prostranstva” (“Spazi chiusi”). Una storia moderna sulle paure infantili, di Igor Vorskla
- “Vse umrut, a ja ostanus’” (“Moriranno tutti fuorché me”). Un dramma psicologico sulla crudeltà degli scolari, di Valerija Guy Germanika
- “Cargo 200”. Un dramma-scandalo, di Aleksej Balobanov
- “4”. Un dramma nero, di Ilja Khrzhanovskij - “Ovsjanki” (“Anime silenti”). Un dramma con funerale in un angolo sperduto di Kostroma, di Aleksej Fedorchenko
- “Down House”. Un’interpretazione moderna del romanzo “L’idiota” di Dostoevskij, di Roman Kachanov
- “Faust”. Un film con i soggetti della tragedia “Faust” di Goethe, di Aleksandr Sokurov
“Donskoj
Proezd n. 5? Tu cosa fai, l’attrice? -, chiese l’autista stupito
mentre andavamo al padiglione e aumentò la velocità, - Non si può
arrivare tardi alle riprese, non lo sai?”. “Io non sono
un’attrice, sono architetto. E lei, è un attore? Come fa a sapere
del Donskoj proezd?”, ero già in ritardo di 10 minuti.
“Ho recitato per gli
ucraini, nel ruolo del barman; amici del casting mi hanno convinto
per gioco. In 10 minuti ho guadagnato tremila rubli. Era un telefilm,
si chiamava Meridon…
Una cavolata, in pratica puro cinema d’essai. Adesso la metà sono
attori, tutti fanno i giornalisti, con le mani non si fa più niente.
Meglio che stai fuori dal cinema d’essai, rimani architetto”.
“Io lavoro come
giornalista”, risposi abbassando lo sguardo. “Vi
siete moltiplicati…”. Il portacenere con le sigarette cadde sui
pantaloni dell’autista, che bestemmiò e non guardò più verso di
me.
Il tema del cinema d’essai per la produzione cinematografica nazionale è uno dei più delicati. Il periodo sovietico è stato caratterizzato dalle scene, conosciutissime in tutto il Paese, delle commedie di Leonid Gajdaj, quello tipicamente post-sovietico è trascorso all’insegna della sigla iniziale “Banditskij Petroburg” (San Pietroburgo criminale) e decine di saghe romantico-criminali simili.
Quando Tarkovskij fece un regalo dal valore inestimabile alla cinematografia russa, il film “Stalker”, tutte le menti progressiste cominciarono a parlare di cinema d’essai. Sembrava avesse davanti a sé un grande futuro. Ma dopo Tarkovskij, Kira Muratova, Kachanov, Sokurov e, se mi permettete, anche Fedorchenko, che ha ottenuto quattro riconoscimenti all’ultimo Festival di Venezia, si può tranquillamente chiudere la parentesi.
Fra l’altro tutti gli anni a San Pietroburgo si svolgono i festival del cinema d’essai “Chistye Grezy”. Il festival è stato fondato nel 1998 dall’attore Aleksandr Bashirov (“Assa”, “L’ago”, “Down-house”, “Mama ne gorjuj”), che tuttora rappresenta il cinema underground russo. Il motto del festival è “dai libertà di pensiero”, l’atmosfera è quella di un insistente ed anticonformista bisogno di indipendenza. La corrente principale dei film presentati al concorso: la miscela detonante di tutti gli stereotipi esistenti sul cinema d’essai. Descritto come low - budget, non professionale, scandaloso e acerbo. Tuttavia, non è mai troppo tardi per abbattere gli stereotipi (ciò di cui si occupano anche al Donskoj proezd n. 5).
All’ingresso i custodi hanno guardato a lungo il passaporto del mio collega, il fotografo tedesco Jan. Ci hanno caricati su una “Lada” con vetri oscurati e portati al padiglione. Nel finestrino cominciarono a baluginare alcune insegne: "Ginecologia, Urologia, Testimonianze dall’esercito", "Agenzia turistica VacanzHello", "Lapidi sottocosto", "Fabbrica del cinema n. 2". Senza alcun dubbio era proprio qui che dovevano produrre il vero cinema d’essai.
Un vecchio lampadario appeso al soffitto, aste di bambù ammassate in un angolo, appesa alla parete una colorita insegna in stile sovietico con la scritta “Una canzone per il vostro tavolino”. Al centro del padiglione un’enorme riproduzione con colline ricoperte da cenere vulcanica e una piccola fortezza rialzata. Intorno ad essa alcune persone darsi da fare, al centro il simpatico regista Sergej Kavtaradze con indosso una giacca nera e l’operatore Grisha con una sciarpa in stile aristocratico, che ricordava Esenin.
Produttore, scenarista, regista cinematografico. Ha studiato alla Scuola superiore per scenaristi e registi, è dottore in storia. Il precedente film “Gar’” (“Fire-Brand” 2008) era nel programma di noti festival russi ed internazionali, come Short сorner (Cannes, Francia, 2008), il Kinotavr (Russia, 2008), Premier plans (Angers, Francia, 2009), il programma dei “miglior film dell’Est Europa degli ultimi vent’anni” (Lille, Francia, 2009). Autore di una serie di articoli scientifici e della monografia “I conflitti etnopolitici nello spazio post-sovietico” (2005)
Il progetto di Sergej Kavtaradze chiamato “Archetipo di guerra” è dedicato alla natura dell’aggressività e della violenza, alla lotta per i bisogni primari dell’uomo in periodo di guerra. Il film è stato ripreso al confine tra il Sudan e l’Etiopia in mezzo alle tribù; nella Repubblica somala; in una clinica psichiatrica dell’Ucraina, dove curano regolarmente veterani delle guerre locali. Noi siamo finiti nelle riprese della seconda parte del film: la storia del mondo inventato, dove l’immagine della guerra viene trasmessa con l’adattamento cinematografico di alcuni miti.
“Che cosa le porto, pesce fritto, un'insalata?”; a Sergej si avvicinò una donna in grembiule, siamo riusciti a malapena a cominciare la conversazione. “Vada per l’insalata russa. Io mangio più tardi. Vuole mangiare? Abbiamo molta roba da mangiare …”, ammiccò Sergej. “Noi mangiamo dopo, grazie. Mi racconti in dettaglio come sono avvenute le riprese in Africa”, risposi.
“Praticamente è così: il film si compone di tre parti. La prima parte è realmente ripresa in Africa, dove vive la tribù Surma, che si può dire sia dell’età della pietra. Diverso tempo fa è stata oggetto di un documentario della Bbc, questo è quanto. Di persone dalla carnagione bianca praticamente non se ne sono viste ed è per questo che, al nostro arrivo, ci trattavano letteralmente come bambini ad ogni passo che compivamo, ci stavano attaccati e non ci facevano far niente. Là gli uomini combattono su delle aste, è il loro rito d’iniziazione, molti perdono la vita in questi combattimenti, lottano per le donne o per le mucche. In questi posti tutte le tribù entrano in conflitto solo per le mucche e i pascoli. Sono state fatte delle riprese anche in Somalia, dove sono in guerra ormai da vent’anni. Il risultato è tra il documentario e il film d’autore. Quello che stiamo riprendendo adesso è una via di mezzo, è la seconda parte, che parla dell’inconsapevolezza, del come ha inizio una guerra. E’ stata girata anche la terza parte: le riprese sono avvenute in una clinica psichiatrica, dove sono ricoverati i veterani di guerra”.
Il cinema d’essai propone i cosiddetti “film per tutti”, nei quali troviamo metodi innovativi, la ricerca di nuove possibilità artistiche, approcci alternativi e soggetti nuovi.
Come le è
venuta questa idea?
E’ un adattamento cinematografico
artistico - emotivo della mia tesi di dottorato, la voglio discutere
alla facoltà di psicologia dell’Mgu. Ho scritto una monografia dal
titolo “I conflitti etnopolitici nello spazio post-sovietico”. E’
soprattutto una rappresentazione di carattere emotivo, più che
informativo o storico. Tre parti accomunate principalmente da
paralleli nel contenuto: i guerrieri africani, ad esempio, prima di
una battaglia si bagnano a vicenda in un fiume; nella clinica, i
veterani si lavano l’un l’altro nella vasca. Oppure si racconta
di come in Africa il guerriero si pulisca lo stomaco ingoiando radici
tossiche ed erbe per farsi venire la nausea e bere poi sangue bovino
in grande quantità, prendendo, in questo modo, energia. Dopo di
questa c’è una scena in cui un paziente d’ospedale si fa venire
la nausea per evitare di prendere le pastiglie che gli sono state
imposte.
E con che
mezzi girate queste scene?
Coi propri.
Coraggioso.
Provi
a pensare: sul mercato russo questo film lo guarderanno nella
migliore delle ipotesi mille persone. Uno sponsor su quale profitto
si potrebbe basare? Massimo 10 cinema di Mosca danno il film, quindi
è da festival e basta.
Da quanto
tempo state effettuando le riprese?
Da più di un anno e
mezzo.
Lavori da
molto tempo con Sergej?
E’ il mio terzo lavoro con
Sergej – risponde l’operatore di poche parole Grisha-. La prima
volta gli ho fatto le riprese per un lavoro inerente ai suoi studi,
poi per la tesi e questo di adesso è il suo debutto. E’ un cinema
di allestimento scenico, basato in parte su materiale documentario.
Nella seconda parte recita un attore professionale, ma lì più che
altro ci sono cose plastiche. Perché con gli attori non è facile,
con i dialoghi pure, questo è troppo e c’è voglia di qualcosa di
diverso. Un vero cinema d’essai, senza limiti …. Un cinema da
festival. Dai riprendi, abbiamo sistemato tutto!
Io me ne sono andata col cuore pieno di gioia. Sostanzialmente le prospettive nel cinema d’essai russo sono fenomenali: il campo d’azione è infinito, le possibilità innumerevoli, la concorrenza minima. Nel frattempo a noi non resta che aspettare il primo che gridi “Azione, si gira!”. Mentre Jan è rimasto deluso: alla fine non è riuscito ad immortalare gli attori nelle vesti da guerra con la macchina fotografica.
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