Addio all’Anno Vecchio a Mosca

Foto: Reuters

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Capodanno, dimmi come lo festeggerai e ti dirò come passerai i prossimi dodici mesi: è questa la filosofia dei russi. Il racconto dei festeggiamenti nella capitale

“Dimmi come festeggi l’Anno Nuovo, e così lo passerai”: è questa la filosofia che adottano i russi. Qualche anno fa, sentii da un tassista russo il detto: “Quando la neve cadrà verso l’alto”, vale a dire, “mai”. Era la prima volta che lo sentivo, e magari l’aveva inventato l' autista stesso. Per dire che qualcosa è assolutamente impossibile in russo conoscevo solo “quando un granchio griderà in montagna”, ma non quello della neve, anche se immagino che i russi mettano qualsiasi cosa in relazione con la neve…

Nel 2010 sono stata a Mosca, ma neanche questa volta ho avuto tempo a sufficienza per vedere tutto quello che volevo. Ci sono rimasta solo tre giorni: dal 31 dicembre al 2 gennaio. Avevo deciso di lasciar perdere i monumenti e dedicare tutto il mio tempo alla gente: agli amici e alla famiglia che mi aveva ospitato nella propria casa quando studiavo in Russia con uno scambio universitario. Quelle persone erano veramente diventate la mia famiglia.

La notte di Capodanno ho scelto cinque punti sulla cartina: le abitazioni di alcuni amici o i luoghi in cui avevano deciso di festeggiare l’Anno Nuovo. L’obiettivo consisteva nel passare da tutti i posti nell’arco della nottata senza spendere un centesimo. In questo modo avrei mantenuto la promessa di vedere tutti i miei cari in poco tempo e, contemporaneamente, risparmiato un po’ di soldi.

Ore 21

Sono a casa della famiglia che mi ospitò qualche anno fa. È una coppia con due gemelli di 7 anni. Festeggiano sempre l’Anno Nuovo assieme, in casa, perché il loro proverbio preferito recita: “Dimmi come festeggi l’anno nuovo, e così lo passerai”. Nell’angolo c’è un abete, tagliato dal padre nel bosco secondo la tradizione familiare. La punta arriva fino al soffitto e ha una stella che brilla quando la si accende. Il resto dell’albero è decorato con vecchi giocattoli: macchinine dell’epoca sovietica, sagome di Ded Moroz di cioccolato, astronauti con le guance arrossate, uccelli di carta e cagnolini meccanici. Dopo la cena i bambini vanno a dormire, mentre noi tre restiamo in sala. Beviamo champagne e guardiamo il programma “Goluboi ogoniok” (La lucina blu), un concerto di musica di bassa qualità, ma molto amato dai russi. Decido di uscire prima di mezzanotte, per dare loro la possibilità di festeggiare da soli. 

Ore 23.40

La tappa successiva è Lubianka, una stazione della metro molto vicina alla Piazza Rossa. Da lì si possono vedere i fuochi artificiali senza doversi buttare tra la folla. Arrivo tardi ed entro correndo in metro. Il mio treno sta per partire dalla stazione e le porte dei vagoni si stanno chiudendo. Busso nervosa alla porta del macchinista e gli chiedo se mi può aprire la porta. Lui lo fa e mi invita a entrare. Per la prima volta nella mia vita faccio il viaggio in metro nella cabina del macchinista!. “Vuole un mandarino? Ne ho un paio…”, gli dico in segno di ringraziamento. “Sì, grazie”, risponde senza fare complimenti mentre prende la borsa.

Il treno entra in stazione e lo scuro tunnel si riempie di luci. Lo saluto. “Ehi, bella, - dice il macchinista – anch’io ho un regalo per te”. Mi regala una bottiglia di champagne mentre confessa che, comunque, non beve in servizio. Salgo in superficie, ma per accedere a via Lubianka devo passare da un metal detector. Di certo, più che armi o altri metalli, la polizia cerca alcol: obbligano la povera gente a lasciare le bottiglie prima di entrare in centro. I miei amici mi aspettano dall’altra parte. Nascondo la bottiglia di champagne sotto il cappotto. Dopo aver visto i fuochi artificiali ce ne andiamo dal centro e, all’improvviso, i miei amici si mettono a frugare tra i mucchi di neve negli angoli della strada.

“Non trovo il nostro whisky. Però ho trovato una bottiglia di rum”, esclama un mio amico mentre affonda la mano nella neve e tira fuori una bottiglia con un’etichetta dell’Avana. “Bene, prendi il rum, qualcun altro troverà il nostro whisky e così si ristabilirà l’armonia universale”, commenta un altro, felice di avere il rum. Ora capisco perché i russi a volte non raccolgono la neve dalle strade: per nasconderci dentro le bottiglie. Anche se, mi domando, come possono lasciare per strada bottiglie da 200 euro.

Ore 1.30

La terza tappa del mio programma è un locale in cui hanno organizzato una festa in stile sovietico. Dopo aver finito la bottiglia di rum in quattro, mi congedo dai miei amici e ci vado a piedi. All’improvviso, noto molto vapore e acqua: qualcosa si sta sgelando. Poco dopo sento un odore insopportabile e mi rendo conto che delle tubature sono scoppiate e che la strada in cui c’è la mia destinazione si è trasformata in un fiume di acqua bollente e immondizia nauseabonda. Un uomo piccolo, con una divisa da operaio cerca di sistemare questa confusione.

È un po’ ubriaco e canta allegro “Il cuore della bella è incline al tradimento”. “Come si arriva alla discoteca Dacha al 18 di Pokrovsky Boulevard?”, gli chiedo. “In nessun modo – risponde -, è alla fine della strada, a circa 700 metri. Dovrai fare un giro enorme … Il cuore della bella… Beh, se vuoi ti porto io”. “Ma come?”. Non riesco a dire altro. L’operaio mi afferra per le spalle e inizia a portarmi verso il locale. Cammina cantando e rischia di cadere per via del mio peso o della quantità di alcol che ha bevuto. Provo a gridare, ma presto mi rendo conto che è inutile. Una volta arrivati, mi mette a terra e mi dice “Buon Anno!”, e allo stesso modo se ne va, cantando “Il cuore della bella”.

Dentro al locale la gente indossa abiti degli anni ’20 del secolo scorso e balla lo swing. C’è anche qualcuno in camicia bianca e cravatta rossa, come se fossero dei “pionieri”. Alle pareti sono appese fotografie di Gagarin, Lenin e operai felici. Regalo ai presenti la bottiglia di champagne che mi ha dato il macchinista e tolgo la cravatta rossa a uno dei miei amici. Scappo rapidamente alla tappa successiva, altrimenti si fa tardi.

Ore 3

Devo andare dall’altra parte della città, a casa di architetti, dove i bohémienne moscoviti danno una festa “più intellettuale”. La strada è vuota, e d’un tratto mi passa accanto una macchina della polizia che poi si ferma al semaforo. Busso al finestrino, i poliziotti aprono lo sportello. Sorridendo, chiedo loro di accompagnarmi, dato che vanno nella stessa direzione. Venti minuti dopo scendo dalla loro macchina vicino a casa dei miei amici.

Le porte del bilocale all’ultimo piano sono aperte, e dentro ci sono circa 50 persone. C’è gente che suona la chitarra e canta canzoni degli U2. Nella seconda stanza leggono poesie di Pasternak e c’è odore di hashish. Non conosco nessuno, ma alla fine trovo il mio amico che sta giocando a scacchi con il cane. L’animale è addormentato davanti alla scacchiera, il mio amico è completamente ubriaco. Gli metto la cravatta rossa, e nell’uscire passo dalla cucina. Lì la gente sta giocando a “Bugiardo”. Ci sono dei bicchierini pieni di acqua, e altri di vodka. Bisogna berli tutti d’un fiato e guardare negli occhi i compagni. Se si nota che si è bevuta la vodka, si perde.

E così si va avanti a bere finché non rimane l’ultimo, il più “bugiardo” di tutti. Mi invitano a giocare. Vinco e mi regalano una torta di miele, una “medovik”. Esco dall’appartamento, mi rimane ancora l’ultima tappa: una dacia nei dintorni di Mosca, vicino a una città chiamata Lobnja, dove i miei amici festeggiano l’Anno Nuovo in una sauna, la banja russa.

Fa freddo, ma non c’è neve. La strada è vuota. Tra mezz’ora passa l’autobus. Arriva, non frena. Cerco di fermarlo saltando e quasi me lo trovo di fronte. Alla fine si ferma e si apre la porta. “Dove vai?”, mi domanda l’autista. “Vado verso Lobnja, ma non vedo se l’autobus ci va o meno, non c’è scritto…”, rispondo. “Sì, vado proprio a Lobnja”. “Posso salire?”, incalzo. “Non lo so, chiedilo ai passeggeri”.

La risposta dell’autista mi suona strana. Salgo e vedo una trentina di uomini, tutti vestiti da Ded Moroz (il Babbo Natale russo), con vestiti rossi e bianchi. Quando mi vedono, si mettono a ridere e gridano che finalmente è arrivata Snegurochka, la Fanciulla della Neve. I Babbi Natale vanno a Lobnja a lasciare i loro abiti. L’azienda che si occupa di organizzare eventi per il Capodanno è là. Quei poveri uomini hanno lavorato tutto il giorno e ora tornano a casa.

Ore 5.30

Scendo dall’autobus, saluto i Babbi Natale e regalo la torta di miele all’autista in segno di ringraziamento. Tutti i miei amici hanno finito il bagno di vapore. Li sento sguazzare e gridare dalla felicità. Sono nudi e nuotano in un piccolo lago vicino alla banja.  “Siete ubriachi?”, grido io. “Non ci offendere. Certo che no! Vieni qui!”, è l’invito.

Ore 8.30

Uno dei miei amici si offre di ospitarmi a casa sua a dormire. Sulla porta incrociamo i suoi nonni, sono svegli e ci sediamo a prendere un tè con loro. “Perché non dormite? - chiedo loro. – Non è difficile per voi stare svegli tutta la notte?” “No, non è difficile. Cinquant’anni fa ci conoscemmo proprio l’ultimo dell’anno, e siamo insieme da allora. Vuoi vedere delle foto?”, chiedono.

Mi rendo conto che tutto il tavolo è ricoperto di vecchie fotografie. Cercando di reagire alla stanchezza, ma con molto interesse, inizio a guardarle. Mi ricordo della famiglia che mi ospitò. Inizia a nevicare.

Ore 12.30

Mi sveglio, guardo dalla finestra. Per strada si vede un Ded Moroz ubriaco, forse è uno che è arrivato tardi a prendere l’autobus per Lobnja. Il suo sacco è rotto, e dal buco cadono cioccolatini. Due cani randagi gli vanno dietro e se li mangiano. C’è molto vento, una lieve tormenta. I fiocchi di neve volano verso l’alto.

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