Flashmob, colori e musica in politica

In Russia si va affermando un nuovo modo, gioioso e creativo, di affrontare i problemi del Paese. Dietro l’apparente improvvisazione ci sono in realtà studiate soluzioni di marketing


Un gioco di specchi: 16 agosto 2003 ore 17, San Pietroburgo, Stazione Moskovskij. Alcune decine di persone attendono l’arrivo del treno numero 62 dalla capitale. Tra coloro in attesa c’è Mitia Lapshin, studente di Lettere al terzo anno, e il suo amico Lesha Ikonnikov. Hanno con s é i cartelli: “Tatiana Lavruchina. Società alcolisti anonimi”. Tatiana, ovviamente, non esiste. È solo un nome per attirare l’attenzione dei media. Stesso giorno. Ore 17.30, Mosca, Stazione Leningradskij. Un gruppo di persone è in attesa del passeggero proveniente da Pietroburgo di nome NzR178qWe. E i cartelli sono gli stressi. L’obiettivo è un’azione combinata: un flashmob per attirare, in modo creativo, l’attenzione della politica e dei media.

Dietro l’organizzazione dell’evento un giovane attivista, David Yang. Impegnato ma diffidente. Infatti, in un’intervista del gennaio 2003 dichiarava: “Il movimento dei flashmob è più morto che vivo”. Niente di più sbagliato. In otto anni il numero dei flashmobber è cresciuto da 100 a 50mila persone. A sette anni dalla prima iniziativa tutto il Paese è stato conquistato dai flashmob politici di Russia Unita, il partito di Putin e Medvedev. Che cerca di assimilare e diventare espressione degli stati d’animo dei giovani, prendendo spunto dalle loro modalità delle popolari azioni sociali. Lesha e Mitia hanno smesso di partecipare alla flashfollia. Non perché abbiano finito l’università e trovato un lavoro.

Freeze Flashmob in Russia from milkov on Vimeo.

“Di fatto, da atto informale e spontaneo il flashmob si è trasformato in uno strumento di propaganda”, dice Misha. Nella guerra dei flashmob sono coinvolti tutti: studenti, pensionati, sostenitori dei partiti. Tra i politici più attivi, l’ex direttore esecutivo del partito di opposizione “Fronte cittadino unito”, Marina Litvinovich. Che nel suo Live Journal ha proposto più di una volta flashmob 2.0: tutti in Rete sul server ufficiale del governo. Proprio il blog della Litvinovich si è affermato come il quartier generale dei flashmobbers d’opposizione.

Millions of soap bubbles in Moscow. Flashmob 2009 from Artem Rosnovsky on Vimeo.

“Il boom di Live Journal è iniziato da un semplice fatto -, racconta Mitia -. Alcuni poliziotti hanno picchiato e cacciato una ragazza che stava mangiando il suo hot-dog in un cortile privato. La ragazza ha raccontato la sua disavventura su Live Journal. E tutti abbiamo deciso di vendicarla. Eravamo in tanti, comprammo degli hot-dog, arrivammo al cortile e iniziammo a mangiare”. La guerra dei flashmob era iniziata.

La polizia russa ha un rapporto difficile con il flashmob: per gli agenti questa parola simboleggia nient’altro che l’azione politica del gruppo Voina ( Guerra ), famoso in tutto il Paese e oltre i confini nazionali per le sue violente azioni di protesta. Nel 2010 i partecipanti del gruppo creativo furono incriminati a causa di “Capovolgimento palazzo”, la loro reazione alla riforma della polizia, nel corso della quale alcuni giovani ribaltavano le macchine delle forze dell’ordine di San Pietroburgo. I rappresentanti del gruppo hanno sempre messo l’accento sulla sola concretezza delle loro iniziative: “Nelle azioni di Voina non c’è quasi nulla di artistico. E questo rende loro un’espressione della nuova arte supercontemporanea”. Ma la flashmob mania non accenna a diminuire. Nel 2011 è stata addirittura fondata una scuola dove veniva insegnata la storia del flashmob e gli scenari. Gli insegnanti, giuristi, fanno lezioni sulle conseguenze legali delle azioni. Mentre i public relations e i giornalisti istruiscono sui metodi corretti di lavoro con i mezzi di comunicazione di massa e con le strutture governative.

sleep... from Rokkas on Vimeo.

Ed è il Web il luogo dove il flashmob è rimasto integro e nella sua veste originaria. Gli utenti russi devono al flashmob persino la comparsa dello slang della Rete. Il gergo che viene spesso utilizzato nelle conversazioni via etere è chiamato “olbanskij”. Questa denominazione comparve nel 2004. Quando un americano con il nickname scottishtiger decise un giorno di lasciare un commento: “Perché qui si scrive in una lingua incomprensibile?” E l’utente maxxximus, pensando che l’americano scherzasse, chiamò la lingua “olbanskij”.

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