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Quando quasi quattro anni fa al Cremlino è arrivato Dmitri Medvedev e alla Casa Bianca Barack Obama i rapporti tra Mosca e Washington parevano indirizzati verso la distensione, dopo il periodo in cui Vladimir Putin e George Bush avevano accresciuto i motivi di screzio. Dopo la prima luna di miele a seguito dell’11 settembre 2001, gli eventi nello spazio postsovietico avevano creato preoccupazioni a Mosca: le rivoluzioni colorate in Georgia, Ucraina e Kirghizistan, l’allargamento della Nato all’Europa centrale e soprattutto alle repubbliche baltiche, l’ipotesi di entrata nell’Alleanza Atlantica proprio di Tbilisi e Ucraina.
Il supporto americano a Mikhail Saakashvili e la guerra in Caucaso erano stato il punto di non ritorno. Poi era arrivato il “reset” tra Dmitri Anatolevich e Barack Hussein e si era guardato più ai dossier comuni (lotta al terrorismo, Afghanistan, Iran) che alle differenze. In seguito la guerra in Libia, quella (forse) prossima in Siria e la controversia sul progetto di scudo spaziale - che invece di trasformarsi in una piattaforma comune è diventato una materia di conflitto - hanno soffiato sul fuoco.
Anche al summit di Bruxelles dell'8 dicembre 2011 non vi è stata nessuna intesa tra Nato e Russia sullo scudo antimissile. Come hanno riferito le agenzie, per Mosca il progetto di difesa comune lanciato un anno fa in Portogallo è una minaccia e a nulla sono valse le rassicurazioni del segretario generale dell’Alleanza, Anders Fogh Rasmussen, secondo cui “il sistema di difesa missilistica Nato non è diretto contro la Russia, che noi non consideriamo come un nemico o un avversario, ma piuttosto un partner, e intendiamo sviluppare una collaborazione strategica”.
A Rasmussen ha replicato il ministro degli Esteri Sergey Lavrov dicendo che “sappiamo che alcuni elementi del sistema antimissile di difesa sono in grado di coprire gran parte del territorio russo e, naturalmente, ciò solleva dubbi al nostro interno. Le rassicurazioni orali non bastano, vogliamo anche garanzie giuridiche”. Botta e risposta che non ha portato a nulla con i colloqui riprenderanno al prossimo vertice di Chicago nel maggio del 2012.
E per finire ci hanno pensato i commenti di Hillary Clinton e la reazione di Putin a riportare i toni russo-americani al passato. Il premier russo ha accusato apertamente Washington di aver provocato in maniera deliberata le proteste di questi giorni a Mosca, affermando che le dichiarazioni della Clinton sulle elezioni non-libere e i brogli sono state il segnale per alcuni gruppi dell’opposizione per scendere in piazza. Per Putin la maggioranza della popolazione vuole stabilità e non appoggia le manifestazioni anti-governative.
“Sappiamo tutti che ci sono persone nel nostro Paese che vogliono esasperare la situazione, così come è successo anche in Kirghizistan e in Ucraina", ha tuonato il primo ministro russo, alludendo alle rivoluzioni colorate finanziate in parte dal denaro americano pubblico (via Usaid, Iri e Ndi) e privato (George Soros, ad esempio). “Finché si parla del sostegno finanziario alla sanità pubblica è un conto, ma quando i soldi dall’estero vengono investiti direttamente nella politica interna è un altro discorso. È inammissibile l’impiego di soldi esteri nella campagna elettorale”.
Insomma, i due presidenti che verranno eletti nel 2012 (da una parte Putin, dall’altra forse ancora Obama, forse il rivale repubblicano ancora da scegliere), avranno qualche problemino in più da risolvere.
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