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Meglio tardi che mai. È forse questo che investitori e uomini d’affari avranno pensato quando si è diffusa la notizia che la Russia aveva completato il lungo iter che precede l’ingresso nel Wto. L’appartenenza all’Organizzazione mondiale del Commercio non sembra però destinata a ripercuotersi significativamente, di qui a breve, sull’andamento dell’economia nazionale russa.
Questo non significa che le lunghe procedure richieste dall’ingresso al Wto siano state una perdita di tempo: sotto molti punti di vista le condizioni che i negoziatori russi sono riusciti a spuntare dai loro partner commerciali favoriscono l’economia e gli scambi. E assicurano ai prodotti russi la possibilità di accedere indiscriminatamente ai mercati esteri, accordando al Paese quella condizione che nel gergo commerciale internazionale è detta “di nazione più favorita”. In più, la Russia potrà avvalersi del meccanismo previsto dal Wto per la risoluzione delle dispute commerciali.
Tuttavia, per quanto le condizioni di ingresso nel Wto siano favorevoli, non si può affermare che “tutto è bene ciò che finisce bene”. Infatti l’ingresso nell’organizzazione non farà che confermare i problemi dell’economia russa. A meno che il governo non modifichi radicalmente quelle politiche socio-economiche che hanno reso la Federazione così debole rispetto agli altri Paesi emergenti, come appare ovvio a coloro che osservano con attenzione le realtà più elementari della vita economica russa.
Per cominciare, consideriamo che la base dei beni da esportazione russi è in costante diminuzione. In un rapporto della Banca Mondiale si legge che “nel 2000 petrolio e gas rappresentavano meno della metà delle esportazioni; un altro 15 per cento derivava da altre materie prime estrattive e il 9 per cento era dovuto a beni di alta tecnologia, inerenti soprattutto all’industria militare”.
In secondo luogo, nell’estate 2011 il primo ministro Vladimir Putin ha affermato che la Russia sarebbe dovuta entrare a far parte del Wto per eliminare il calo dei ricavi delle esportazioni, che ammontano ogni anno a circa 2 miliardi di euro.
Terzo elemento da considerare: benché il Cremlino abbia già preso posizione contro la corruzione, definendola “il nemico pubblico numero uno”, ancora non si scorge alcun indizio del fatto che questa sia realmente diminuita. In base a qualche stima, la somma delle tangenti e dei “pizzi” pagati nel Paese è superiore a tutte le entrate derivanti dalle tasse governative.
La corruzione dilagante obbliga di fatto le imprese russe a sottostare a una doppia tassazione, che le rende per questo poco competitive.
L’autore è un giornalista economico. Da trent’ anni si occupa di tematiche legate al Gatt/Wto e di economia internazionale
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