Foto: kinopoisk.ru
Sarebbe potuto diventare un pianista di successo, ma alla fine la sua passione per il cinema ebbe la meglio sulla musica. Andrej Konchalovskij, classe 1937, fratello maggiore di un altro regista russo, Nikita Michalkov, decise, un giorno, di adottare il cognome della madre. I suoi inizi come sceneggiatore sono legati all’opera cinematografica di Andrej Tarkovskij, sua la sceneggiatura dell’Andrej Rubliov.
Negli Anni ‘80, quando il suo cinema era già conosciuto in Europa, fece i bagagli per trasferirsi a Hollywood, dove registrò alcuni successi come A trenta secondi dalla fine, basato sulla sceneggiatura di Akira Kurosawa; o Tango & Cash, interpretato da Silvester Stallone e Kurt Russell. Fece ritorno in Europa dopo essere rimasto deluso dall’industria cinematografica statunitense e dalla sua idea di cinema.
In Spagna, la Mostra del Cinema Europeo Città di Segovia, alla sesta edizione, ha voluto rendere omaggio alla sua attività cinematografica. Il regista di Siberiade, Maria’s lovers e La casa dei matti anticipa il dietro le quinte de Lo Schiaccianoci, il suo ultimo film in uscita nelle sale italiane il 2 dicembre 2011.
Cinquanta anni dedicati
al cinema. Che cosa rimane oggi di quel regista che iniziò assieme a
Tarkovskij?
Sono cambiato
completamente. Siamo due persone diverse. A quell’epoca,
io e Tarkovskij eravamo molto giovani. Pensavamo che l’arte potesse cambiare il
mondo; ora non la penso più così. Allora,
entrambi ci credevamo due geni, ora invece non mi reputo tale.
Che cosa l’ha fatta
cambiare opinione?
La prospettiva della morte ti cambia. Ciò che un tempo
ti sembrava importante, adesso ti importa molto di meno. L’idea della morte
rende tutto relativo.
Cosa ci può raccontare
di Tarkovskij? Com’era?
Tarkovskij era noioso. (Ride). Ci divertivamo molto. Lui, forse, un po’ meno. A me è
sempre piaciuto ridere, anche se non ho senso dell’umorismo. Tarkovskij proprio
non ce l’aveva. Era un uomo che soffriva molto. C’è un detto russo che recita:
“Quelli che soffrono, vivono la vita come un dramma; quelli che pensano, la
vivono come una commedia”. Preferisco rientrare in quest’ultima categoria.
A proposito del suo
ultimo film, Lo Schiaccianoci. Si
tratta di una pellicola in 3D dedicata alle famiglie. Ci sorprende sempre con
un nuovo genere. Lo fa per rendere le cose difficili a quelli che studiano il
suo cinema?
Mi piace provare generi diversi. Tutto ciò che realizzo
lo considero arte. Ciononostante mi reputo molto diverso da Tarkovskij o
Kurosawa, che hanno sempre fatto film dello stesso genere. Io preferisco essere
come Shakespeare. Sentirmi libero. Produrre film drammatici, ma anche
d’avventura o d’azione.
Ha dichiarato di voler evitare
i film che si girano a Hollywood, quelli che si guardano sgranocchiando pop
corn. Eppure, Lo Schiaccianoci è
un’opera per bambini e senza ombra di dubbio ci sarà del pop corn.
Lo Schiaccianoci non è necessariamente un film per soli bambini, è per tutta la
famiglia. Non credo che i pop corn aiutino a cogliere quanto ho voluto
raccontare. Mi preoccupa la banalizzazione della verità che si respira nel nostro
mondo. Lo Schiaccianoci può essere
interpretato secondo diverse chiavi di lettura, anche come la rappresentazione
di un totalitarismo sotto l’apparenza di una democrazia reale. Io la chiamo
“rattificazione”. Quando il pubblico vedrà il film, capirà di che cosa parlo.
Poco dopo l’uscita de La casa dei matti, ambientato durante la
guerra russo-cecena, decide di trasferirsi a Hollywood. Erano gli Anni ‘80, gli
anni di Scorsese, Coppola, e Kubrick. Che cosa ci racconta di quell’Hollywood
che ora non le piace più?
Nessuno dei registi che ha nominato lavoravano per Hollywood.
Loro non erano registi fast-food, non lavoravano per Coca-Cola, né per McDonald’s.
Loro facevano cinema. James Cameron, per esempio, sì rientra in questa
categoria di cinema che sa di pop corn.
E perché crede che
registri del calibro di David Mamet, David Lynch, Woody Allen o Jim Jarmusch, non
abbiano successo in Russia?
Loro fanno cinema d’autore; film che rimangono fuori
dalla catena di Hollywood. Le cose nel cinema sono cambiate molto. Prima la
gente non si preoccupava di quanto costava un film. Ora è la prima cosa che ti
chiedono. Quindi se il tuo film è costato diversi milioni, si suppone che si
tratti di un buon film, destinato a sbancare il box office. Questo modo di pensare è sbagliato.
Ho letto da qualche
parte che Woody Allen ha commentato, una volta, che la sua versione di Zio Vanja fosse la migliore che avesse
mai visto. Perché non ha continuato con gli adattamenti letterari?
Anch’io ricordo questo
commento. Se Woody Allen vedesse lo spettacolo di Zio Vanja che stiamo allestendo in
teatro, una commedia ancor più eccentrica rispetto al film, sono sicuro che gli
piacerebbe ancora di più.
Lei ha fatto quasi di
tutto nel cinema, nel teatro e persino nell’opera. Regista, sceneggiatore,
produttore cinematografico... In quale ruolo si sente più a suo agio?
In quello di professore.
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