Foto: Photoxpress
Aborti praticati entro le prime dodici settimane di gestazione. Che diventano ventidue per le donne che provano di non poter mantenere il bambino. La Duma ha approvato la legge – a breve firmata dal Presidente Medvedev - che limita il ricorso all’interruzione di gravidanza. E che aveva messo in agitazione la società civile, convinta che fosse stato sferrato un attacco alla vita delle donne.
Tra le norme approvate dal Parlamento russo c’è anche una delle proposte avanzate dalla Chiesa ortodossa che più hanno suscitato discussioni: una settimana di silenzio (2-7 giorni) tra la richiesta d’interruzione di maternità e l’intervento, che dovrebbe consentire alla donna di riflettere ulteriormente sulla decisione di rinunciare a un figlio. Un periodo di tempo che, secondo i funzionari religiosi, ridurrebbe la possibilità di esercitare l’aborto attraverso metodi medici pericolosi, diminuendo così il rischio di complicazioni.
Tra gli strumenti di riflessione predisposti da Stato e Chiesa ortodossa a disposizione della gestante ci sono anche una serie di sedute psicoanalitiche prima dell’interruzione di gravidanza così da “rendersi conto che stanno privando intenzionalmente il bambino della possibilità di vivere”. Respinte invece le proposte più dure avanzate dalla Chiesa ortodossa sul diritto all’interruzione della gravidanza. Come trasformare l’aborto in un servizio a pagamento. Un metodo per liberare lo Stato da uno dei suoi doveri sociali, incidendo così sulla spesa pubblica. Senza occuparsi troppo della salute delle madri o dei diritti dei bambini. E come l’obbligo del consenso all’aborto del marito per le donne sposate. Con le donne che sono già vincolate da un punto di vista economico alla loro famiglia o ai partner. Nei casi in cui non ottenessero l’autorizzazione dal consorte, sarebbero costrette a rivolgersi a cliniche illegali.
Tra i provvedimenti che venivano dalla sfera ortodossa e bocciati dalla Duma c’era anche il consenso dei genitori per l’interruzione di gravidanza delle minorenni e il diritto dei medici di rifiutarsi di praticare l’aborto. Una serie di restrizioni che costituivano il primo tentativo di fermare il calo demografico russo dall’approvazione della legge sull’aborto a metà degli anni Sessanta. Anche perché le cifre del Ministero della Salute certificano che il Paese è ai vertici mondiali per numero di aborti annui. Più di un milione sono le gravidanze interrotte ogni anno. Le statistiche non considerano i casi d’interruzione di gravidanza nelle cliniche private, con cui si arriverebbe a circa sei milioni.
Numeri al ribasso rispetto agli ultimi tempi: nel 2005 si sono verificati 104,6 aborti ogni cento nascite. Una cifra (58.7) quasi dimezzatasi l’anno passato. E legato all’aborto in Russia c’è il problema della natalità, il cui tasso oscilla attorno a 1.4 bambini per donna, lontano dal 2.1 necessario per mantenere i numeri della popolazione attuale, in cui l’aspettativa di vita dell’uomo medio è scesa a 58 anni per l’alto tasso di alcolismo e per la condotta di vita dei russi.
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