Foto: Reuters/Vostock
L’Eurozona sta attraversando un momento estremamente critico, e il summit del G20 a Cannes è atteso con grande trepidazione. Riuscirà questa compagine di Paesi industrializzati e in via di sviluppo a scongiurare uno tsunami economico di portata globale?
Simon Wolfson, direttore dell’azienda britannica Next Group, ha promesso quattrocentomila dollari a chiunque riesca a trovare una strategia che consenta ai Paesi che desiderino farlo di uscire dall’Unione monetaria europea. Se avete una proposta valida, e se questa verrà accettata, la somma sarà accreditata direttamente sul vostro conto corrente. Al momento però Wolfson può stare tranquillo, dal momento che qualsiasi soluzione che gli economisti riusciranno a escogitare è destinata a scontrarsi contro l’opposizione dei politici. Le profonde differenze che separano i Paesi tradizionalmente ricchi da quelli emergenti sembrano infatti precludere un accordo sulle misure da adottare per far ripartire l’economia globale. Per questo il clima di aspettativa che circonda il summit di Cannes interessa più le prese di posizione e i giochi di potere messi in atto dai blocchi rivali che l’atteso e costruttivo confronto di idee.
La difficoltà del trovare una soluzione a un problema che rimane in primo luogo politico è data dal fatto che un’economia responsabile implica scelte politiche impopolari. Benché sia considerato il comitato direttivo di un nuovo ordine mondiale in cui anche le potenze economiche emergenti hanno diritto di parola, il G20 è in realtà un club dove contano solo gli iscritti. Oltre a Usa, Russia, Cina, India e Brasile, il G20 comprende anche Unione Europea, Francia, Germania, Italia e Regno Unito; dei suoi venti membri, ben dodici appartengono all’asse occidentale.
Così, quando sui giornali leggiamo che il G20 impone delle manovre e ingiunge agli europei di risolvere la confusa situazione in cui versa il Vecchio Continente, a chi si rivolgono esattamente tali esortazioni? E quando Nicolas Sarkozy lancia un ultimatum in veste di attuale presidente del G20, se lo vede forse recapitare il giorno seguente, come presidente della Francia?
I paradossi non finiscono qui. Al summit del G20 parteciperanno anche i Paesi del Brics, che riunisce le economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Meno ricchi degli europei e tuttavia sostenuti da una grande disponibilità di denaro liquido, questi hanno proposto un piano di salvataggio che consiste nella ricapitalizzazione del Fondo Monetario Internazionale che in questo modo potrà concedere prestiti ai Paesi Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), che di tali prestiti hanno disperatamente bisogno. La proposta però è stata sommariamente respinta dagli Usa, che temono di vedere ulteriormente diluita la presenza occidentale all’interno del Fmi.
Quella appena descritta rappresenta una delle insanabili divergenze che si frappongono al raggiungimento di un accordo comune. La ricapitalizzazione del Fmi condurrebbe infatti alla richiesta di una sua riforma, la quale si tradurrebbe in un aumento del peso esercitato al suo interno dai Brics a scapito dell’Europa. Vi immaginate cosa accadrebbe se Vladimir Putin fosse in grado di controllare le due sorelle di Bretton Woods, Banca Mondiale e Fondo Monetario? Naturalmente i Paesi del Brics non sono tutti d’accordo sulle modalità dell’aiuto da offrire all’Occidente. Mentre ad esempio il Sudafrica si oppone categoricamente a qualsiasi intervento salvifico, e questo perché considera l’Occidente responsabile dei problemi che lo affliggono, il Brasile è invece disposto a intervenire a patto di riceverne qualche vantaggio, o quanto meno un riconoscimento.
La situazione è stata riassunta con grande efficacia dal Financial Times, che scrive: “L’offerta del Brics è stata rifiutata perché suggerire ai leader europei una possibile soluzione esogena non coincide con gli interessi politici di breve termine dei leader di Usa, Regno Unito, Australia e Canada. Se si trattasse solo di accettare del denaro dai Paesi Brics la faccenda sarebbe diversa, ma per mantenere la propria influenza sul Fmi il blocco dei Paesi anglofoni avrebbe poi dovuto fare altrettanto. Cosa che in questo momento non sono interessati a fare”.
Disparità all’interno dell’Eurozona
Esiste inoltre un’altra contraddizione, situata al cuore stesso dell’Eurozona, la quale, pur presentandosi a prima vista come gruppo omogeneo, in realtà è un club di ricchi che comprende anche la presenza di qualche membro meno fortunato e influente. Così, mentre a un’estremità dello spettro troviamo la poderosa economia tedesca, capace di produrre una vasta gamma di merci di ottima qualità, all’estremità opposta è collocato il ventre molle (formato in prima istanza dai Paesi Pigs), la cui economia si basa prevalentemente sul turismo.
Ogni anno la Germania registra nei confronti di questi Paesi un surplus commerciale pari circa a 270 miliardi di dollari. E tale surplus rappresenta il debito (in continua crescita) dei Pigs. Prima di entrare a far parte dell’Ue, la Grecia aveva una vita semplice: in caso di necessità, per rendere la propria economia competitiva non doveva far altro che svalutare la dracma. Adesso invece, intrappolata com’è nell’Eurozona, la banca centrale di Atene ha le mani legate e non può fare altro che aspettare che qualcuno accorra in suo aiuto. E a questo punto le note si fanno dolenti. La Grecia infatti, a meno di non trasformarsi in produttore efficiente quanto la Germania (cosa alquanto improbabile), è destinata a rimanere in debito.
Perché allora i tedeschi non si liberano dei Paesi Pigs? O come mai Grecia e Spagna non escono dall’Eurozona e ritornano ai tempi d’oro in cui si godevano una prosperità economica bastata interamente sul turismo? La risposta è semplice: la Germania non ha nessuna intenzione di rinunciare ai suoi “captive markets”. Ma per la leadership tedesca è anche una questione di prestigio, dal momento che la Germania è il motore dell’Europa. Senza contare che Germania e Francia stanno considerando la possibilità di dar vita a un’alleanza militare europea che si basi sui loro eserciti. E che se l’Eurozona venisse meno, tale alleanza non vedrebbe mai la luce.
È difficile esaminare delle soluzioni economiche concrete quando si è obbligati a tener conto di simili fattori politici. Lo scorso anno il ministro degli Esteri lussemburghese, Jean Asselborn, ha dichiarato: “Posso solo mettere in guardia Germania e Francia dall’avanzare rivendicazioni di potere che tradiscono una certa dose di dispotismo e arroganza.”
La proposta dei Paesi Brics
Perché allora il gruppo dei Brics salverebbe i Paesi ricchi? Forse perché, come taluni ritengono, questi hanno nell’Occidente i loro principali mercati di esportazione? In realtà però, le cose stanno diversamente: i Brics infatti commerciano soprattutto tra loro, e rispetto ai mercati in più rapida crescita si stanno lentamente sostituendo all’Occidente. I Brics inoltre condividono alcuni obiettivi comuni, e la riforma del sistema finanziario globale (che è stato rovinato dalla corruzione dilagante dei mercati occidentali) è nel loro interesse, mentre l’inflazione, dovuta alle manipolazioni valutarie praticate dall’Occidente, ha avuto ripercussioni su quasi ciascuno di loro. Un altro fattore di contrapposizione riguarda il segreto bancario: Svizzera e Regno Unito sono i più strenui protettori degli evasori fiscali, e questo ha determinato un aumento dei patrimoni non dichiarati.
Attualmente Atene dispone di fondi che le consentiranno di restare a galla solo sino a metà novembre 2011. Malgrado i 159 miliardi di euro ricevuti nel 2010, il debito del Paese ha sorprendentemente raggiunto il 162% del Pil. Per far fronte al debito della Grecia, così come a quelli di Portogallo, Spagna e Irlanda, saranno necessarie quantità di denaro imponenti. Tuttavia il denaro da solo non servirà a nulla: a meno di non affrontare il problema alla radice, infatti, sarà impossibile scongiurare l’esigenza di ulteriori salvataggi.
Un simile approccio, all’insegna del “prendi-il-denaro-e-tieni-le-dita-incrociate”, potrebbe semmai costringere i membri più deboli dell’Eurozona ad abbandonarla quanto prima. Il crollo dell’euro si ripercuoterebbe su tutto il sistema finanziario globale, e questo, in un’epoca in cui la crescita in Occidente è pari a zero (se non addirittura negativa), il Pil cinese ha smesso di crescere e la produzione industriale in India non aumenta più, non farebbe che aggravare la recessione.
Intanto, mentre l’euro scivola sempre più verso il baratro, i ministri delle Finanze europei tergiversano, Francia e Germania battibeccano e i gli altri leader mondiali temporeggiano. Si accettano scommesse. Ma mentre il denaro offerto da Wolfson è al sicuro, non si può dire altrettanto del vostro.
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