Foto: Lorenzo Meloni
Foto: Lorenzo Meloni
Raffigurare
l’utopia. Dare forma e corpo allo spirito della Rivoluzione d’Ottobre. Tradurre
nello spazio dell’arte gli uomini, i fatti e i simboli del socialismo reale. Affinché fossero
visibili, insegnabili, trasmissibili. Arte e rivoluzione. A braccetto, poli di
un solo movimento dialettico, pratiche con lo stesso obiettivo: costruire la
“patria socialista”. E allo sviluppo della pittura in Unione Sovietica, al
rapporto tra artisti e potere, è dedicata “Realismi Socialisti. Grande Pittura
Sovietica 1920–1970”, mostra inaugurata l’11 ottobre 2011 al Palazzo delle
Esposizioni di Roma. Centinaia di opere, visibili fino all`8 gennaio 2012.
Celebrare, certo. Ma anche decostruire un mito:
quello del
monolitismo ideologico e politico delle avanguardie russe. Per mostrarne le
sfaccettature, la varietà, la ricchezza.
Mosca, 26 ottobre 1917. La bandiera rossa è da poche ore issata sulla torre più alta del Cremlino. Lenin è già al lavoro per organizzare il nuovo Stato. E tra le prime decisioni c’è quella di istituire il Commissariato del Popolo per l’Istruzione. Il principio è sintetizzato in cinque parole: “Un’arte comprensibile a tutti”. Parte da qui l’arruolamento degli artisti, il loro utilizzo sociale. Per rendersene conto basta entrare nel padiglione al piano terra del Palazzo delle Esposizioni di Roma. Le opere vengono presentate in relazione alle fasi della storia politica dell’Urss. La Grande guerra Civile, la Nep, l’ascesa di Stalin, il Terrore, la Guerra mondiale, Crusciov e Zhdanov, Brezhnev e la stagnazione. Come a ricreare quella volontà di confinare l’arte nel recinto del Politico. Una volontà sconfitta, superata dall’ineludibile autonomia di ogni espressione artistica.
Le opere in mostra sintetizzano l’itinerario del Realismo sovietico. La cerimonia d’apertura del Secondo congresso della Terza internazionale di Isaac Brodski, con Lenin al centro della sala, intento a discutere con i delegati. Poi il Ritratto di Stalin di Georghi Rublev, il Bagno dei Cavalli di Plastov, l’Incontro degli artisti del teatro Stanislavski di Efanov. E tante altre. Cercando di seguire il filo dell’arte e non quello del potere. Per i curatori, infatti, “la mostra si concentra sull’interesse artistico piuttosto che sull’aspetto ideologico”. Un principio che ha comportato “tanto l’esclusione dalla rassegna di alcuni protagonisti, quanto l’inserimento di figure meno note, ma comunque ritenute meritevoli di riconsiderazione storico-critica”.
All’interno di Realismi Socialisti, un’intera sezione è dedicata a Aleksandr Mikhailovic Rodchenko. La sua macchina Leica, l’amicizia con Maiakovsky, l’impegno per le riviste e i rapporti con il futurismo. Una retrospettiva completa, che consente di dare uno sguardo d’insieme all’opera di uno dei maestri della fotografia del ‘900. Un “generatore d’arte”. Obliquo, problematico, un sacerdote laico della sperimentazione. Le foto come scrittura dei fatti.
E nelle sue fulminanti dichiarazioni, che accompagnano il visitatore tra le opere, l’impossibile convivenza dell’amore e del distacco dalla politica e dalla rivoluzione: “Arte è servire la causa del Popolo. Ma il Popolo viene strattonato da più parti. Bisogna condurlo all’arte. E l’arte va tenuta lontano dalla politica”.
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