La Turchia in Ue, riflessioni russe

Foto: Getty Images / Fotobank

Foto: Getty Images / Fotobank

L`impegno di Erdogan a favore della democrazia non sembra molto convincente, mentre il suo gusto per il populismo desta preoccupazione

Non passa quasi giorno senza che Recep Tayyip Erdogan, primo ministro islamico della Turchia, non faccia qualcosa che catturi l’attenzione dei mezzi di comunicazione di tutto il mondo. Predica la democrazia agli egiziani, minaccia Israele con un’azione navale, promette ai palestinesi di riconoscere il loro ancora inesistente Stato e dichiara pubblicamente di aver interrotto il dialogo con la Siria di Bashar al-Assad, uomo non così forte. In una recente intervista alla rivista Time il premier turco ha citato solo di sfuggita l’offerta ufficiale di lunga data del suo Paese di aderire all’Unione Europea. Ha fatto capire che, nel momento in cui gli europei fossero pronti ad accettare la Turchia come una di loro, potrebbe diventare un partner molto meno accomodante e più esigente.



E perché no? Erdogan e il suo team hanno per la Turchia una visione che, pur essendo ancora un lavoro in corso, è molto più coerente, ispirata e completa di qualsiasi cosa gli attuali leader dell’Unione Europea, monotoni, inespressivi e indecisi in maniera unanime, potrebbero mai proporre al proprio popolo. Si tratta della prospettiva di un Paese che ha sposato sinceramente l’Islam e che, al tempo stesso, è accogliente con le altre fedi, opinioni e costumi. L’agenda di Erdogan si basa sui valori e questo la rende infinitamente più interessante ed emozionante di qualunque cosa l’Unione europea abbia da offrire, anche se non si condividono quei valori. In tutta serietà, se tu fossi un giovane turco (senza giochi di parole), quale dei due “progetti” per il tuo Paese preferiresti: allargare l’influenza, politica ed economica nel Mediterraneo, prendendo decisioni autonome sul futuro? Oppure unirti a un grande club di diverse nazioni cercando invano di salvare uno Stato con una popolazione delle dimensioni di Istanbul, al tempo stesso alimentando la burocrazia tentacolare di Bruxelles che ambisce a dettare la forma delle uova agli agricoltori della Danimarca e a regolare la vendita di alcol ai popoli indigeni della Lapponia in Finlandia? La risposta è piuttosto ovvia.



Che il sistema rigorosamente laicista della Turchia, garantito e sostenuto dai militari, non fosse al passo con il cambiamento dei tempi era chiaro anche prima che l’ex sindaco di Istanbul irrompesse sulla scena politica nazionale nel 1990. Ma è anche ovvio che la vecchia guardia laica, l’ élite con il culto di Ataturk, si è lasciata sfuggire questo punto. E ora “Giustizia e Sviluppo” di Erdogan ha colto l’attimo. Secondo un mio amico, un professore di Scienze politiche presso una delle principali università private della Turchia, “il primo ministro sta usando parole democratiche per cambiare il sistema in modo da sancire la posizione di leadership degli islamici nella politica turca per i prossimi anni, se non per i decenni a venire”. Erdogan sta conducendo un’incessante caccia alle streghe contro i militari, ottenendo applausi da parte dell’Unione Europea per l’allontanamento dei “berretti con la visiera” dalla politica. Monotoni e talvolta antipatici i generali hanno mantenuto i radicali di tutte le frange fuori dalla politica. Saranno comunque tenuti ai margini? Su questo aleggia un dubbio legittimo. Erdogan chiede l’elezione diretta del presidente, preparandosi a passare nella poltrona di capo dello Stato per continuare la sua carriera politica anche in futuro. Ma ciò che dovrebbe preoccupare tutti maggiormente è la sua persecuzione dei giornalisti (diverse decine sono in prigione, spesso con accuse inconsistenti o, ovviamente, costruite). Ha anche riempito la magistratura di simpatizzanti del partito “Giustizia e Sviluppo”. Tutto questo rende le dichiarazioni di Erdogan circa il suo impegno a favore della democrazia non molto convincenti.



La sua politica estera appare incostante e incline agli slogan nella migliore delle ipotesi, sconsiderata nella peggiore. Guardando il filmato del suo tour trionfale del Medio Oriente non ho potuto fare a meno di confrontarlo con il documentario di Gamal Abdel Nasser che riprende la folla in delirio per i suoi appelli infuocati a “guidare Israele verso il mare”. Naturalmente, Erdogan non dice nulla del genere. Sa che ci sono delle linee rosse che non vanno attraversate finchè si vuole essere presi sul serio dall’Occidente.

Tuttavia il gusto del primo ministro turco per il populismo e per l’adulazione popolare è motivo di preoccupazione. Allo stesso tempo, bisogna riconoscerglielo - sa a che punto fermarsi. Erdogan è tornato sui suoi passi circa la promessa di visitare la Striscia di Gaza sotto il controllo di Hamas in solidarietà con i palestinesi, anche se le autorità egiziane erano pronte ad aprire la frontiera per lui. Recentemente ha debitamente schierato i radar degli Stati Uniti in terra turca in ottemperanza agli obblighi della Nato. Così non c’è ancora consenso di opinioni circa il futuro dell’anticonformista leader turco. Potrebbe  diventare un grande riformatore, capace di esercitare la sua influenza non solo sul suo paese natale, ma anche sulle società musulmane di tutto il mondo. Tuttavia potrebbe anche rivelarsi un politico assetato di potere che potrebbe distruggere la democrazia turca e destabilizzare il Mediterraneo.

Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta

Questo sito utilizza cookie. Clicca qui per saperne di più

Accetta cookie