Elezioni, futuro in pericolo?

Vladimir Putin durante un’intervista con il direttore del canale televisivo di Stato russo (Foto: Afp/East News)

Vladimir Putin durante un’intervista con il direttore del canale televisivo di Stato russo (Foto: Afp/East News)

Secondo i liberali con Putin e Medvedev nuovamente al potere si rischierà un’altra epoca di stagnazione. Dal fronte opposto si pensa invece che il tandem politico trasformerà il Paese in una democrazia con solide basi economiche

“Non si tratta di cedere il potere, ma di continuare a lavorare”. È quello che ha promesso Dmitri Medvedev avanzando l'ipotesi che “l'attuale squadra di governo” tra 10-15 anni sarà sostituita da persone “più capaci e più intelligenti di noi”.

“Quello che stiamo facendo noi, sia in politica, che in economia, è gettare le basi”, ha detto il primo ministro Vladimir Putin, spiegando che “due o tre passi falsi” potrebbero riportare il Paese, in brevissimo tempo, alla situazione degli anni Novanta, quando l'instabilità politica era a livello di opposizione armata, l'economia era soffocata dai prestiti stranieri, e di fatto, dopo la caduta dell'Urss si sarebbe potuto assistere alla caduta della Russia".

Queste spiegazioni, così come l'intenzione di Dmitri Medvedev e Vladimir Putin di “scambiarsi la poltrona”, provocano il turbamento dei cittadini più inclini al libero pensiero. Non vogliono ritrovarsi a vivere in una dittatura". Del resto, però, non sono neanche pronti a proporre un'alternativa che possa trovare il sostegno della maggioranza della popolazione. Così, per usare un'espressione anglosassone, “votano con i piedi”: come confermano i sociologi, infatti, il numero di russi che desidera trasferirsi a vivere all'estero è in continua crescita. Anche se interpretare questa tendenza come forma di protesta politica, è fuori luogo. Gli stessi sociologi hanno ormai da tempo appurato che l'emigrazione dalla Russia contemporanea ha più che altro motivazioni economiche. La gente se ne va in cerca di soldi e non di democrazia.

Secondo alcuni dati, in base al Pil la Russia come Paese occupa un dignitosissimo settimo posto nella classifica mondiale, ma se si prende in considerazione il prodotto interno lordo per abitante, precipita rovinosamente al 71esimo posto. Lo stipendio mensile medio si aggira intorno ai 450 dollari. La maggior parte dei cittadini russi non possiede risparmi significativi, le proprietà immobiliari si riducono più che altro ad appartamenti di piccole dimensioni e miseri appezzamenti di terra, con la dacia, fuori città. Se mettete insieme questa povertà diffusa con le tradizionali ambizioni di superpotenza tipiche di buona parte della popolazione, otterrete il tipo di elettorato che vota per la nazionalizzazione, per la dittatura del proletariato in stile comunista, per la rinascita della potente Unione Sovietica, caposaldo e minaccia della pace mondiale.

Con la loro retorica Dmitri Medvedev e Vladimir Putin, che lo vogliano o no, assecondano questo tipo di elettori. Quello che in realtà è il loro programma (entrambi ripetono che è uno solo) è caratterizzato dal massimo della liberalità possibile nella situazione della Russia di oggi. Per ora, è vero, si parla più che altro di riforme di natura socio-economica: verso un sistema di mercato si stanno evolvendo, con passo lento ma sicuro, gli apparati della sanità, dell'istruzione e della previdenza sociale. Ci sono dei movimenti anche in direzione di una “umanizzazione” del sistema giudiziario. Della liberalizzazione nel campo della gestione statale per ora invece non si parla affatto, è questo non si può negare.

C'è una gran voglia di sperare che la modernizzazione economica che è stata avviata permetterà alla maggior parte della popolazione russa di guadagnare abbastanza per pensare non solo a come togliere il pane dalle case dei più ricchi per spartirselo. Perché non esistono democrazie povere che siano stabili. Di solito vengono spazzate via e sostituite dalle peggiori dittature.

Quindi, per favore, non metteteci fretta. Quando avremo guadagnato un po' di soldi, allora potremo parlare di riforme liberali più profonde. E probabilmente non vale neanche la pena di biasimare Jim Turley, capo della ditta Ernst & Young, che qualche giorno fa ha espresso il proprio sostegno alla candidatura di Vladimir Putin come Presidente. Forse lui ne sa qualcosa in più di me e voi messi insieme.

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