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Gli oggetti che entrano nelle nostre case sono fatti di plastica e altri materiali, sconosciuti soltanto cinquant’anni fa, che ci raggiungono ovunque ci troviamo. La borsa di plastica, in quarant’anni appena di esistenza, è riuscita a penetrare così a fondo nella quotidianità che da sola è in grado di creare stili di vita.
Negli ultimi tempi si parla molto di ridurre l’uso dei sacchetti di plastica. Come sostengono le organizzazioni ecologiste, molti tipi di plastica sono pressoché indistruttibili e possono rimanere intatti fino a 400 anni, destando preoccupazioni di carattere ambientale. È per questo che i soggetti attivi nella difesa della Terra si appellano alla società in cerca di sostegno per trovare soluzioni al problema rappresentato dalle borse di plastica. A quanto pare in Russia abbondano gli stereotipi che vedono nella plastica un materiale indispensabile, appartenente a un mondo pratico e dinamico, ragion per cui non sarà mai privato della sua onnipresenza.
Mentre altri Paesi in Europa, tra cui l’Italia, propongono un modo sostenibile di fare acquisti, in Russia si pensa al passato. Non si tratta soltanto di carta riciclabile o di borse di tela che possono essere riutilizzate per anni, ma della rinascita di un marchio sovietico, un simbolo della speranza che caratterizzava l’epoca, una borsa in rete intrecciata, un’avoska.
La parola avoska può essere tradotta in “non si sa mai”. Questa reticella, che fino agli ultimi anni non veniva prodotta in Russia, descrive alla perfezione i tempi in cui nei negozi sovietici era difficile trovare cibo. Se ne attribuisce l’invenzione al comico russo Arkadij Raikin, quando nel 1935 uno dei suoi personaggi, salendo sul palco con questa particolare borsa in rete, si rivolse al pubblico con le seguenti parole: “Questa borsa in rete si chiama non si sa mai. Non si sa mai che trovi qualcosa da metterci e portarmi a casa”. L’avoska stava senza problemi in una tasca e accompagnava sempre i sovietici nella loro vita quotidiana. Circa vent’anni fa in tutto il Paese si usavano queste borse per trasportare mele, arance, kefir, pane e bottiglie vuote. Erano trasparenti, nel senso più ampio del termine, e svolgevano una funzione simile a quella di un giornale, di una vera Pravda: attraverso di loro si poteva leggere in tempi quasi immediati, come se si trattasse delle notizie dell’ultima ora, quel che era appena comparso sui banchi dei negozi.
Nel decennio degli anni ’90, quando l’Unione Sovietica smise di esistere, le borse in rete smisero di circolare. Forse perché gli occhi sovietici ne avevano viste fino alla nausea (e inoltre la gente le associava al dramma di doversi procurare i prodotti tramite buoni-cibo), o forse perché la nostra società ormai riconosceva la speranza in altri simboli e il vento del cambiamento ci aveva portato le borse di plastica, zeppe di annunci pubblicitari. O, ancora, perché le sigarette, vendute singolarmente, scappavano con estrema facilità dai buchi delle trecce dell’avoska. Per farla breve, durante gli anni ’90 queste borse della spesa hanno smesso di esistere e il loro posto è stato occupato dalle buste di plastica usa e getta. Insieme alla sparizione dell’avoska dalla vita quotidiana decine di fabbriche che offrivano un posto di lavoro a persone ipovedenti vennero chiuse (secondo le statistiche 9 borse su 10 venivano realizzate da persone non vedenti).
Qualche anno fa alcuni imprenditori russi socialmente attivi hanno dato il via a un progetto chiamato L’avoska della speranza, che offre alle persone ipovedenti la possibilità di guadagnarsi da vivere. In questo modo, grazie all’Associazione russa di persone con disabilità, che ha lanciato il programma, la borsa dell’Unione Sovietica ha avuto la possibilità di ricomparire. L’obiettivo fondamentale di questo programma senza scopo di lucro è garantire l’uguaglianza lavorativa alle persone con disabilità.
C’è soltanto qualche piccolo cambiamento nell’aspetto dell’avoska: adesso si può portare anche in spalla, viene realizzata con colori vivaci ed è provvista di manici in pelle. In un certo senso queste elegantissime borse della spesa sono una metafora dell’epoca in cui viviamo, della trasparenza della vita attraverso la rete. Viviamo infatti a stretto contatto gli uni con gli altri e riveliamo la nostra quotidianità su Internet, come se stessimo camminando per strada con una borsa trasparente con tutte le nostre foto e i nostri oggetti personali esposti al giudizio degli altri. Scherzi a parte, considerato che il mondo di oggi ci suggerisce sempre nuovi strumenti di identificazione, tanto meglio se lo stile di vita quotidiano riesce a contribuire alla salvaguardia dell’ambiente, questa casa di cui tutti siamo inquilini.
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