Georgia a pezzi

Un bambino disegna la bandiera della Russia e dell'Ossezia. Foto: AP

Un bambino disegna la bandiera della Russia e dell'Ossezia. Foto: AP

A tre anni dalla guerra con la Russia, il Paese si ritrova con un territorio smembrato. Le repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud sembrano definitivamente perdute

È proprio il caso di dirlo: la Georgia è a pezzi. Alla piccola repubblica del Caucaso, circa 4,5 milioni di abitanti su una superficie ufficiale di 70 mila chilometri, vanno infatti sottratti i circa 9 mila chilometri quadrati di Abkhazia (200 mila abitanti) e i 4 mila dell’Ossezia meridionale (70 mila abitanti), le due repubbliche che si sono staccate con la guerra del 2008.

Anche se sono riconosciute solo dalla Russia e dal Venezuela (oltre che dalla Repubblica di Nauru, isola sperduta nell’oceano Pacifico), le due regioni sembrano aver imboccato la via del non ritorno. Già con la dissoluzione dell’Urss nel 1991 erano cominciati i conflitti che nel corso degli anni hanno condotto a un’indipendenza de facto di Sukhumi e Tskhinvali da Tbilisi prima ancora del recente conflitto. Dopo la guerra di cui in questi giorni ricorre in terzo anniversario (7-12 agosto 2008) i passi sono stati compiuti in maniera ufficiale, grazie anche alla miope strategia di chi voleva con la forza ricondurre le repubbliche ribelli sotto il proprio controllo e invece si è ritrovato con i carri armati russi sull’uscio di casa: il presidente Mikhail Saakashvili.

La commissione Tagliavini che nel 2009 ha prodotto il report sulle vicende dell’estate dell’anno precedente ha confermato che l’attacco georgiano in Ossezia ha infranto il diritto internazionale, così come la successiva reazione di Mosca che seppur giustificata è stata giudicata sproporzionata. Novecento morti e migliaia di feriti sono stati il risultato della guerra dei cinque giorni che ha separato le due repubbliche da Tbilisi.

La successiva proclamazione dell’indipendenza (sul modello Kosovo) è stato il passo naturale che ha infilato Russia e Georgia nel vicolo cieco delle trattative che ancora oggi proseguono a singhiozzo e che non hanno dato e nemmeno daranno un esito condiviso. In sostanza Abkhazia e Ossezia del Sud sono passate definitivamente sotto l’ombrello del Cremlino, dove si riparavano comunque già da tempo. La situazione, con i precedenti non solo di Pristina, ma anche di Cipro Nord e della Transnistria oltre che del vicino Nagorno Karabach, rientra in un complicato puzzle i cui pezzi non si incastrano secondo le regole del diritto internazionale, ma secondo le leggi della realpolitik.

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