Il genio folk di Moiseev

La compagnia del grande coreografo russo, che amava gli Uffizi di Firenze, attraversa l’Italia con il suo repertorio di danze popolari. A tu per tu con la direttrice Elena Sherbakova

L’ultima volta che il Balletto Accademico di Stato Igor’ Moiseev venne in Italia, il suo fondatore era ancora vivo: sarebbe morto di lì a poco, nel 2007, all’età di 101 anni. Il ritorno della compagnia russa per un tour estivo italiano che ha toccato importanti piazze è l’occasione per verificare cosa è cambiato dalla scomparsa di Moiseev. A Parma, poco prima dello spettacolo, abbiamo fatto il punto con Elena Sherbakova, direttrice del leggendario complesso di danze popolari, che ha fugato ogni dubbio sul pericolo di irrispettosi rinnovamenti.

“Dopo la morte di Igor’ Aleksandrovic è rimasto tutto come quando lui era in vita”, rassicura l’ex danzatrice sorridendo. “Nessuna sua danza è stata in alcun modo modificata, né nella coreografia, né nell’allestimento, né nell’arrangiamento musicale. Anzi, continuiamo a lavorare per conservare la tradizione e trasferirla alle giovani generazioni. Così la compagnia, che era la ragione dell’esistenza di Igor’ Aleksandrovic, celebrerà il 75° anniversario nel febbraio 2012”.

La memoria va a quel 1937 in cui Moiseev, ballerino del Teatro Bolshoj di Mosca, costituì il primo complesso professionale al mondo di danze nazionali. Dopo quelle russe, viaggiando nelle province dell’immensa Unione Sovietica aveva scoperto la  bellezza delle tante danze locali, che arricchì negli anni spingendosi oltre i confini del proprio Paese, dando vita al ciclo slavo prima e a quello dei popoli del mondo poi. Intanto nel 1946, primo dell’Urss, il suo complesso effettuò una tournée all’estero, seguita da molte altre, sempre trionfali, nei grandi teatri del mondo.

“È sempre stato un anticipatore, aveva percezioni molto forti, sapeva esattamente cosa sarebbe accaduto in seguito”, racconta Elena Sherbakova. “Durante la guerra ad esempio riuscì a tenere unito il complesso perché comprese che se i suoi componenti fossero andati al fronte non sarebbe stato più possibile ricostituirlo. Trascorse quegli anni in tournée negli Urali, in Siberia, in Mongolia; la compagnia si esibiva anche cinque volte al giorno: al fronte, nei villaggi, nelle fabbriche, dando alla popolazione la forza per andare avanti. Non solo riusciva ad autofinanziarsi, ma addirittura con il denaro guadagnato si costruì uno dei carri armati che, con il nome del complesso, liberò Berlino. La lungimiranza di Moiseev si vide anche nel 1943, in una fase cruciale della guerra, quando intuendo che l’Unione Sovietica avrebbe vinto, fondò la propria scuola, la prima al mondo di danza popolare professionale”.

Delle trecento creazioni di Moiseev oggi la compagnia vanta un repertorio di circa 150 titoli tra danze, miniature, quadri coreografici e suites, che colgono finemente lo spirito dei popoli ispiratori, non importa quanto lontani. “Il nostro obiettivo fondamentale è portare in scena tutto ciò che Moiseev ha creato ed è oggi dimenticato”, afferma la direttrice. Un’impresa facilitata dal fatto che tutti coloro che oggi mandano avanti il complesso sono stati incaricati o indicati da lui, a partire dalla stessa Sherbakova, da 17 anni alla direzione, che precisa: “Ma fino alla fine della sua vita Igor’ Aleksandrovic è stato tenuto al corrente dell’intera attività, e ha continuato a dare suggerimenti dei quali si è sempre tenuto conto e che ogni giorno acquistano più valore”.

Tra questi l’importanza riservata alla scuola, i cui docenti, allora invitati direttamente da Moiseev dopo rigorose selezioni, sono tutti ancor oggi suoi ex collaboratori, come la direttrice, Žisela Panaeva, “artista del popolo”. “L’altro nostro importante obiettivo è educare i giovani, crescere nuove generazioni di ballerini e anche di insegnanti, perché questo lavoro non può essere fatto da un esterno, ma da chi ha vissuto all’interno del complesso. Formiamo una classe ogni cinque anni - spiega Elena Sherbakova - composta da 25 ragazzi e 25 ragazze, che studiano non solo danza popolare ma molte altre discipline, in particolare la danza accademica poiché lo stile di Moiseev è basato fondamentalmente sulla tecnica classica abbinata al folklore”.

Allievi che, per il 99%, confluiscono oggi nel complesso, la cui età media è di appena 23-25 anni. “L’attuale è già la settima generazione di Moiseevi -, dice fiera la direttrice - sono giovani e penso che il modo in cui danzano sia molto moderno”. Anche per questo forse non c’è alcuna preoccupazione che la compagnia, attualmente composta di 90 elementi e tuttora insediata con la propria orchestra presso la Sala Cajkovskij di Mosca, sia considerata un museo. Dalla morte di Moiseev infatti è stato fatto un solo esperimento di rinnovamento del repertorio. “Vorremmo continuare il ciclo delle danze dei popoli del mondo - confida Elena Sherbakova - e siamo aperti a nuove esperienze, anche da parte di coreografi occidentali, a patto però che rispettino la cultura e la tradizione della compagnia. Per esempio mi sono piaciute molto le danze di un giovane coreografo bulgaro, Jivka Ivanov, il cui maestro aveva studiato con Moiseev: poiché non avevamo un numero completo di danza bulgara, ma solo un brano allestito da Igor’ Aleksandrovic, gliene affidammo lo sviluppo. L’esperimento andò bene, tanto che attualmente Ivanov si sta cimentando nell’allestimento di una danza serba e macedone, in vista del 75° anniversario per il quale vorrei concludere il ciclo delle danze dei popoli slavi. Ma ciò non significa che diventerà coreografo residente”, aggiunge cauta.

“Moiseev era un genio - continua appassionata - perché seppe trasformare la danza popolare in arte coreografica. Il problema è che oggi coreografi come lui non nascono più”, conclude sconsolata, lasciandoci con alcuni suoi ricordi personali che aggiungono interesse alla figura di un uomo e di un artista eccezionale: nato aristocratico, attratto dalla sperimentazione, amico dell’intellighenzia, mai allineato con il potere, intellettuale della danza. Curioso fino all’ultimo giorno della sua vita.

“Era un uomo di grande cultura, appassionatissimo di storia: il suo periodo preferito era il Rinascimento italiano, tanto che lo ricordo durante una tournée in Italia farci da guida al museo degli Uffizi di Firenze: persino le guide si accodavano a lui. Nella quotidianità del lavoro era un maestro e un ripetitore eccezionale, come non ne ho mai conosciuti, tanto per le parti maschili come per quelle femminili. Ed era dotato di grande umorismo, che sfoderava soprattutto quando, durante le prove, la stanchezza si faceva sentire e la compagnia andava incitata. Perché per lui la cosa più importante, il principio della sua vita, era donare. Anche quell’energia che il pubblico riceve da 75 anni dal nostro complesso e che non è cambiata”.

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