Nomadi per scelta, contro Gazprom

I nenci per secoli hanno resistito al clima estremo del grande Nord, ma l’avanzata del capitalismo rischia di dar loro il colpo di grazia

Le mani gonfie e rugose di Lena Sarteto si muovono velocemente. Al centro della tenda l’acqua bolle sul fuoco e nel frattempo Sarteto, una nomade della tribù dei nenci, popolo indigeno della Siberia occidentale, prepara un banchetto per gli invitati e la sua famiglia, composta da cinque persone. Taglia a pezzi la carne di renna essiccata e squama un enorme pesce argentato, poi dispone pane secco e biscotti sui piattini e li sistema in una slitta di legno. Le squame e le lische sono sparse a terra intorno al fuoco. Rimarranno lì anche dopo che se ne saranno andati via.

Sarteto è concitata. Tra qualche ora il suo piccolo gruppo di nomadi, composto da una decina di famiglie e chiamato “Brigata n° 5”, come in epoca sovietica, prenderà la strada per il Nord. Siamo all’inizio dell’estate polare e, approfittando della luce che dura quasi tutto il giorno, questi nomadi conducono le loro tremila renne verso le coste del mare di Kara, per raggiungere così il Circolo polare artico per il mese di agosto. Dopo di che torneranno sui loro passi per sfuggire al freddo glaciale e riportare le mandrie all’erba e al muschio della più dolce tundra. Questo ciclo, che si ripete da secoli, è sempre più a rischio, perché la penisola Jamal è anche la base del gigante Gazprom, che fornisce gas all’intera Russia e a buona parte dell’Europa. Con l’insediamento nella penisola, Gazprom ha portato strade, ferrovie e canalizzazioni, trasformando completamente il paesaggio della tundra. I nenci hanno così scoperto le autostrade asfaltate, il ferro arrugginito, i pali elettrici e le perforatrici. Pare che la ricchezza della Russia sia strappata alla tundra, che un tempo era loro.

26 le etnie che vivono nella regione. I nenci, pur essendo la principale realtà autoctona, rappresentano solo il 5,2% della popolazione locale

“Il pesce ha un sapore di morte, ci ammaliamo dopo aver bevuto l’acqua dei nostri laghi e le nostre renne si impigliano nei cavi, inciampano nei tubi, si rompono le gambe e muoiono”, confida Sarteto. Poi sembra recitare un mantra quando dice: “Siamo l’ultima generazione di nomadi. I nostri figli vivranno nelle città, lontani dalla tundra”.

Nella penisola di Jamal si trova il campo Bovanenkovo che contiene circa 4,9 trilioni di metri cubi di gas naturale, gas che Gazprom comincerà a estrarre a partire dall’anno prossimo. Le torri di perforazione si sono innalzate all’orizzonte, e a sostegno dello sfruttamento lo scorso anno è stata costruita una ferrovia di 520 chilometri. Vladimir Chuprov, responsabile di Greenpeace per la Russia, spiega: “Una nostra ricerca rivela che la paura più grande dei nomadi non sono i mutamenti climatici, ma l’ipotesi di essere cacciati via dalla tundra”.

Questo non è il primo attacco al loro stile di vita. Il regime sovietico, infatti, aveva cercato di obbligare i nenci a entrare a far parte di fattorie collettive. Le varie tribù erano state smistate in brigate e obbligate a pagare un’imposta in carne di renna. In migliaia si erano quindi stabiliti nelle città siberiane lottando per conservare le loro tradizioni.

41 mila è il numero totale dei nenci. Ma solo 27mila parlano la lingua nenec; la maggior parte è stata convertita alla religione ortodossa

Oggi i militanti nenci si trovano ancora una volta a essere minacciati nel loro ambiente naturale da iniziative di ispirazione governativa Anche se un portavoce di Gazprom riferisce che l’azienda starebbe cercando una soluzione per condividere il territorio con la popolazione locale, ma avrebbe riscontrato una forte ostilità in tal senso.

E, in effetti, diversi sforzi da parte dell’azienda potrebbero essere interpretati come miglioramenti per la vita dei nomadi e per quella conosciuta come la regione autonoma Jamalo-Nenets. Gazprom versa un salario agli uomini per l’allevamento e uno alle donne per la gestione domestica. Lena e il marito, ad esempio, ricevono ogni mese l’equivalente di 1.700 euro, una somma più che rispettabile in quella regione.

Ogni estate gli elicotteri del gruppo sorvolano gli accampamenti dei nenci e riuniscono più di 2mila bambini, che vengono trasportati nelle pensioni di Yar-sale, la capitale degli abitanti della tundra. Ma Lena Sarteto ci assicura che sostituirebbe volentieri il denaro con una tundra intatta, che preservi il territorio nelle condizioni naturali, e mentre lo dice viene circondata dal sostegno dei parenti. Si volta verso l’idolo di legno della famiglia, posato su una pelliccia, e lo sistema fuori dall’abitazione. La divinità rappresentata non può condividere la casa con degli estranei, promessa sempre più difficile da mantenere di questi tempi. Sarteto ripete il proprio auspicio, che suona vano: “Che Gazprom se ne vada presto e che Jamal possa ritornare ad essere solo nostra: lo speriamo davvero “.

Citazione: Andrei Ivanov, ginecologo e ostetrico, vicedirettore dell’ospedale di Salechard

"Questo stile di vita tradizionale è condannato a finire. Capisco che i nenci vedano le cose in modo completamente diverso, ma proviamo a immaginare uno di noi che decidesse di andare in giro indossando dei lapots (le loro tradizionali calzature) e una lunga barba. Vogliono infilare perle e fumare bambù? Che lo facciano, ma in luoghi appositi e non su un territorio che è grande come diversi Stati europei messi assieme”


Rotta verso dell’Artico

Il popolo dei nenci rappresenta la più importante tra le 26 etnie siberiane. Vivendo vicino al Circolo polare artico è presente soprattutto nelle penisole di Jamal e di Tajmyr. Le principali attività economiche di questo popolo nomade sono l’allevamento di renne e la pesca. La minaccia principale che incombe sul futuro dei nenci non è di natura demografica, tant’è che il loro numero è in aumento e nel censimento del 2002 era stimato a 41.302 unità, ma l’assimilazione nel contesto sociale locale che favorisce la perdita della loro cultura. La scolarizzazione, il processo di insediamento sedentario e anche lo sfruttamento del gas e del petrolio che minacciano l’ambiente in cui vivono mettono a rischio il loro stile di vita.

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