Operai all’interno del Bolshoi ultimano le balconate. Foto: Photoxpress
Foto: Ruslan Sukhushin
Il sole di maggio illumina le colonne di pietra appena restaurate della facciata del Bolshoi, mentre Apollo saluta dall’alto. Tanti moscoviti affollano il parco davanti al teatro e sembra quasi che il Bolshoi sia riaperto. Ma non è così: solo il 28 ottobre, dopo sei anni di lavori, si alzerà il sipario. Fondato nel 1776, il teatro ha subito varie trasformazioni prima di venire completamente distrutto da un incendio nel 1853. L’attuale edificio in stile neoclassico russo è opera dell’architetto italo-russo Alberto Camillo Cavos. Figlio di un compositore, ha dato grande importanza all’acustica, rivestendo di legno non solo le pareti, ma anche soffitto e pavimento. Il restauro era in programma da parecchio. Durante il comunismo però non c’era mai l’occasione, perché oltre agli spettacoli vi si svolgevano assemblee di partito e convegni. «Sui muri principali c’erano crepe larghe fino a 30 centimetri – spiega Mikhail Sidorov, della Summa Capital che dal 2009 esegue i lavori. – Era serio il pericolo di crollo».
Primo passo, dunque, salvare l’edificio: 7mila pali d’acciaio sono stati conficcati nel terreno per poi rimuovere le fondamenta. «L’edificio era sospeso in aria», ricorda Sidorov. Da quel momento il cantiere, a meno di cinque minuti dal Cremlino, è diventato un formicaio con 3200 operai in azione. Il restauro del Bolshoi simboleggia la rinascita della cultura russa... con un ritardo di 20 anni. Ed è anche l’emblema di noti problemi di funzionamento della “verticale di potere” introdotta in passato. Soltanto Dmitri Medvedev è riuscito a sbloccare la situazione ponendo come data limite il 2011.
Al momento nessuno azzarda il costo finale del restauro: qualcuno ha ipotizzato l’equivalente di 1,5 miliardi di euro, ma il Ministero della Cultura parla di circa 500 milioni di euro.
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