Foto: Ria Novosti
Nulla di nuovo sotto il cielo di Astana. Non c’era da aspettarsi altro dalle elezioni kazake di inizio aprile. Nursultan Nazarbayev trionfa come previsto e continua a dirigere il Paese come fa ormai da una ventina d’anni. Secondo gli osservatori dell’Organizzazione per la Cooperazione e Sicurezza in Europa (Osce) non poche sono state le irregolarità che anche questa volta hanno accompagnato la tornata elettorale.
Per l’Osce le “istituzioni democratiche nel Paese non si sono sviluppate allo stesso passo di quelle economiche” e gli osservatori internazionali hanno notato che “le riforme necessarie per elezioni genuine e democratiche devono ancora materializzarsi”. Insomma grazie a petrolio e gas l’economia gira, non si può certo pretendere che Astana diventi vent’anni dopo l’indipendenza da Mosca la culla della democrazia centroasiatica. Certo, qui le cose vanno meglio che ad Ashgabat o a Tashkent, ma il paradosso è che fino l’anno scorso il Kazakistan ha avuto la presidenza dell’Osce e da Vienna bacchettava chi non rispettava le regole. Alexander Lukashenko, uno per tutti.
E così si va avanti: business as usual, e poco conta chi alza la voce sulle carenze democratiche. Visto quello che succede sulle sponde del Mediterraneo, chi offre stabilità tra il Caucaso e il Pamir è comunque il benvenuto. L’opposizione è frammentata e debole, non c’è apparente alternativa al clan Nazarbayev che gioca su più fronti, da quello russo a quello americano a quello cinese, per rimanere in equilibrio. Con ottimi successi.
Il ricco sottosuolo su cui il presidente ha piazzato il suo scranno garantisce un roseo futuro, almeno sul breve periodo. Ma qualcosa, sul lungo, dovrà cambiare, come insegna la primavera araba. In Kazakistan non ci sono stati fino a ora rivoluzioni, chiamiamole così, come quelle in Kirghizistan nel 2005 e nel 2010, o ribellioni soffocate nel sangue come quella in Uzbekistan, ad Andijon, nel 2005. Non c’è stata nemmeno una brutale guerra civile come in Tagikistan tra il 1992 e il 1997. E rispetto al chiuso Turkmenistan da queste parti si respira davvero un’altra aria.
Nazarbayev è stato capace di trovare il ritmo giusto per traghettare il Paese dal totalitarismo a una parvenza di democrazia. Che deve ancora materializzarsi. E adesso ha ancora qualche anno per migliorare.
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