Libia in fiamme, le conseguenze

Fumetto Dmitry Divin

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La reputazione dell’Europa e le motivazioni dei ribelli in una guerra di stallo che avrà pesanti ripercussioni sull’economia globale.

In Libia le forze di coalizione hanno deciso per il conflitto militare con l’intento di proteggere la propria reputazione, senza considerare le possibili ripercussioni che una simile iniziativa rischia di avere.

Se si analizzano le dichiarazioni pubbliche rilasciate dall’inizio del conflitto, emerge chiaramente che l’Occidente (affiancato da alcuni Paesi dell’Est) non è realmente interessato alle vicende interne, a cominciare dal massacro che si è compiuto a danno di tanti civili inermi. Piuttosto l’intento è sempre stato quello di spodestare Gheddafi. Un obiettivo che inizialmente si riteneva facile: si pensava che sarebbe bastato supportare i ribelli per assistere a un successo con la stessa rapidità a cui abbiamo vista in Tunisia ed Egitto. Quando però è apparso chiaro che l’opposizione stava iniziando ad arretrare sulla pressione delle forze fedeli al rais, si è deciso di intervenire senza interpellare le parti in causa.

La campagna è stata voluta dai governi europei, tutti più o meno desiderosi di rafforzare la propria posizione nel mondo arabo, regolare i flussi migratori provenienti dal Medio Oriente e risolvere problemi di politica interna. E gli Stati Uniti hanno finito per farsi coinvolgere.

La Russia si è distinta innanzitutto astenendosi dal votare la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e in secondo luogo condannando l’impiego della forza. Il Cremlino lascerà che la coalizione combatta, riservandosi di denunciare la morte dei civili. Un tentativo di “salvare la faccia” che si potrebbe definire “dinamico”.

Scatenare una guerra nel mondo moderno e globalizzato è stato inaspettatamente facile: sembra infatti che nessuno si sia fermato a considerare i controversi esiti delle campagne condotte duramente gli ultimi anni in teatri di guerra come la Yugoslavia, l’Iraq e l’Afghanistan.

Attaccando Gheddafi, la coalizione non prende realmente le parti della popolazione libica, ma, tutt’al più, difende i ribelli, anche se nessuno sa ancora con certezza chi siano e come si comporterebbero in caso di vittoria. Tutto questo sempre a patto che alla fine risultino vincitori della guerra.

L’ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore delle forze armate Usa, ha dichiarato che l’operazione militare in Libia potrebbe sfociare in un’ennesima situazione di stallo. Senza contare che nessuno sembra aver pensato alle ripercussioni che questa guerra sicuramente avrà sull’economia globale.

Vedomosti è un progetto editoriale di Financial Times, The Wall Street Journal e Independent Media

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