Oro nero alle stelle, nuova crisi in vista

Foto: Gettyimages

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L’instabilità nel Mediterraneo e la catastrofe in Giappone possono portare a breve il costo del barile a 200 dollari, un colpo che minaccia un nuovo tracollo economico a livello mondiale.

Il peso del petrolio sull’economia mondiale si avvicina già ai livelli caratteristici della recessione, come prevedono gli analisti della russa Vtb-Kapital. L’inquietudine relativa all’oro nero ha iniziato a farsi strada verso la fine di gennaio, quando l’Egitto e la Tunisia sono diventati teatro di disordini di massa. Le proteste si sono spostate in Libia, Paese produttore di petrolio, e i prezzi al barile come conseguenza sono saliti notevolmente. A Londra il prezzo del Brent per la prima volta dal 2008 ha superato 100 dollari e proprio allora il ministro dell’Energia e del Petrolio del Venezuela Rafael Ramires ha reso pubblica la sua previsione secondo la quale il prezzo del petrolio potrebbe raggiungere a breve la soglia dei 200 dollari.

In un batter baleno gli eventi nel mondo arabo hanno iniziato a svilupparsi secondo un effetto domino, da una rivoluzione all’altra. Attualmente le ondate di protesta si registrano nel principale bacino petrolifero del mondo: i Paesi del Golfo Persico. L’atmosfera si mostra tesa anche in Kuwait e Bahrein, nazioni fino a poco tempo fa considerate benestanti. Gli analisti sono però animati da un interrogativo fondamentale: l’ondata di rivoluzione panarabe colpirà o no l’Arabia Saudita? E’, infatti, grazie alle riserve saudite che, per il momento, il petrolio si mantiene su prezzi ancora ragionevoli. Ai primi ritardi nelle forniture del petrolio saudita, però, la situazione sul mercato mondiale andrà definitivamente fuori controllo.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea) assicura che a febbraio l’estrazione di petrolio nel mondo ha raggiunto un nuovo massimo storico: 89 milioni di barili al giorno. Effettivamente la mancante fornitura di petrolio libico è stata sostituita da un aumento nella produzione da parte dei Paesi del Golfo Persico e di quelli al di fuori dell’Opec; tuttavia si tratta di un equilibrio molto precario. La domanda di idrocarburi sta aumentando velocemente, soprattutto nelle economie asiatiche a maggior crescita (India e Cina), mentre l’offerta non cresce di conseguenza. Secondo l’opinione degli esperti dell’Iae, l’aumento dei consumi di petrolio e dei combustibili derivati continuerà nel 2011, per un totale di 1,4 milioni di barili in più al giorno.

Il terremoto in Giappone ha solo gettato benzina sul fuoco. Sulla terza economia del mondo incombe la minaccia di un deficit energetico a causa dei danni subiti dalle centrali nucleari, responsabili della produzione di un terzo dell’energia elettrica del Paese. Il Giappone si è già rivolto alla Russia con la richiesta di aumentare la fornitura di carbone e gas liquefatto; ciò significa che le quotazioni degli idrocarburi, compreso l’oro nero, schizzeranno di nuovo verso l’alto. “Nel breve periodo il sistema energetico giapponese dovrà subire delle correzioni strutturali in seguito alla sospensione dell’attività del settore nucleare, che normalmente sostiene i prezzi dei combustibili tradizionali (petrolio, gas, carbone ecc.)”, prevedono gli analisti di Citybank. E’ loro opinione che i problemi dell’economia giapponese possano avere un’influenza maggiore sul mercato del pericolo della diminuzione delle forniture di greggio nella tumultuosa Libia e negli altri Paesi del Golfo Persico e dell’Africa settentrionale.

La congiuntura attuale in Giappone e nel Medio Oriente può portare nel breve termine a un aumento del prezzo del petrolio fino a 150-200 dollari al barile, ha dichiarato il ministro delle Finanze russo Aleksej Kudrin. Udite queste parole, gli analisti si sono subito ricordati del periodo del conflitto nel Golfo Persico, quando il prezzo del petrolio era salito del 130% in 7 mesi, a causa della riduzione delle riserve dell’Opec. La condizione deficitaria delle riserve petrolifere è pronta a ripetersi oggi, con una nuova spirale di aspettative relativamente ai prezzi. L’offerta di petrolio deve crescere insieme alla domanda, altrimenti il traguardo dei 200 dollari al barile diventerà una prospettiva concreta.

Una previsione simile è stata resa pubblica alla fine dello scorso anno dal Ministero dell’Energia degli Stati Uniti. Secondo le stime degli esperti americani, i consumi di petrolio a livello mondiale cresceranno orientativamente dagli 84 milioni di barili del 2009 ai quasi 111 milioni del 2035, causando un aumento costante dei prezzi che raggiungeranno i 200 dollari al barile entro il 2035. Oggi ci sono tutte le possibilità di raggiungere tali stime prima della data prevista.

Al Ministero dell’Energia statunitense si dicono sicuri che la crescita principale nell’estrazione di petrolio sarà garantita solamente da tre Paesi: Brasile, Russia e Kazakistan, tre nazioni non facenti parte dell’Opec. Proprio in questi tre Paesi, ritengono gli esperti americani, esiste la possibilità di potenziare l’estrazione di petrolio, possibilità che sarà favorita dall’affluire di nuovi investimenti e dal miglioramento delle infrastrutture.

La parola chiave in questo frangente è proprio “investimenti”. Senza interventi esterni il governo della Federazione Russa non può infatti contare su un aumento significativo della quantità di petrolio estratto. La “Strategia Energetica russa” presuppone che l’estrazione di petrolio dal 2005 “con le proprie forze” possa aumentare solo del 13-14% entro il 2035, cioè da 470,2 milioni di tonnellate a 535 milioni di tonnellate. I consumatori di petrolio in tutto il mondo hanno davanti a sé solo due alternative: o inserirsi nel settore petrolifero oggi o in un domani lottare in borsa per l’oro nero sempre più costoso.

L’innalzamento del prezzo del petrolio può dare adito a un’inflazione prolungata, che spingerebbe nella zona rossa i mercati in via di sviluppo: India, Cina, Corea, Argentina. Più di tutti ne soffrirebbero le industrie dipendenti dal petrolio: il settore energetico, metallurgico, chimico e agricolo. Gli alimenti diventerebbero inoltre ancora più costosi, l’anticamera per l’aumento del numero di poveri. In altre parole, i Paesi in via di sviluppo troverebbero ostacoli sempre più seri alla crescita economica: conflitti nazionali e internazionali, crisi valutarie e persino default.

Gli economisti descrivono due scenari possibili nel lungo periodo. Il primo è una nuova crisi economica mondiale. La logica qui è semplice. L’economia mondiale è appena entrata nella fase di prudente ripresa dopo i colpi inferti dalla crisi finanziaria del 2008, tuttavia, un prezzo del petrolio alto causerebbe un aumento dei costi di produzione. Secondo le stime di Torsten Slok della Deutsche Bank Securities, un aumento costante del prezzo del petrolio fino a 110 dollari al barile può essere compensato da un aumento del Pil mondiale pari allo 0,4% per il 2011, mentre 150 dollari al barile causerebbero una diminuzione del Pil pari al 2%. Questa medicina amara, causa di un’inevitabile depressione del settore petrolifero, per un breve periodo di tempo abbasserebbe la febbre del prezzo del petrolio e restituirebbe all’economia un po’ di equilibrio.

Nelle loro previsioni relative all’economia fino al 2030, gli specialisti del Centro di Sviluppo presso l’Istituto Superiore di Economia parlano dello sviluppo ciclico dell’economia mondiale e del pericolo di nuove crisi nel 2018 e nel 2028. Se avrà luogo una nuova crisi, al calo della produzione dovrà seguire il ritorno del prezzo del petrolio ai livelli del passato. L’economia mondiale è destinata insomma ad entrare in un circolo vizioso.

Il secondo scenario è più ottimistico. Si tratta di nuovo progresso tecnologico, e del progressivo abbandono del petrolio entro il 2035, a favore delle fonti di energia verdi e dei combustibili alternativi. “Il decennio che sta iniziando diventerà il decennio del gas”, afferma con sicurezza l’analista capo della rivista Esplorazione ed Estrazione Mikhail Krutikhin. “Il suo ruolo può assumere una primaria importanza sia per la produzione di corrente elettrica, sia nell’industria automobilistica”, ritiene il famoso esperto russo. Un prezzo del petrolio alto stimolerebbe le compagnie petrolifere e quelle del gas a investire di più nell’esplorazione e nell’estrazione, in particolare nei progetti sulla costa artica della Russia, finora non sufficientemente remunerativi. Il vincitore sarà colui che riuscirà a penetrare in questo nuovo Klondike mondiale.

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