Foto: Imago/Legion Media
Riparte il campionato di calcio russo, mentre quelli occidentali si avviano nella fase finale. Il timing è diverso, questione di latitudine. Quest’anno è di transizione, l’anno scorso i Mondiali in Sudafrica, nel 2012 gli Europei in Polonia e Ucraina, prima volta all’Est. Nel 2018 la Coppa del Mondo sarà in Russia, che un po’ a sorpresa se l’è aggiudicata battendo sul filo di lana l’Inghilterra, la culla del pallone.
Ma in tempi cambiano. Anche nell’ex Unione Sovietica. Le squadre russe e ucraine hanno iniziato a far capolino in Europa. Nessuna ha mai vinto la Champions League, ma nelle altre competizioni qualche luce c’è stata: nel 2009 la Uefa è stata vinta dallo Shaktar Donetsk, l’anno prima dallo Zenit di San Pietroburgo, nel 2005 dal Cska di Mosca, primo team a vincere qualcosa dopo la dissoluzione dell’Urss e il disfacimento del calcio sovietico.
Prima la ormai smantellata Coppa delle Coppe era stata appannaggio della Dinamo Kiev (1975 e 1986) e della Dinamo Tbilisi (1981). Altri tempi, appunto. Come quelli in cui la nazionale dell’Urss vinceva i campionati europei, era la prima edizione, quella del 1960. Oro pure alle Olimpiadi del 1956 e del 1988, per quel che contava il calcio dei cinque cerchi. Ne è passata di acqua sotto i ponti dalle magie sovietiche di gente come Lev Jashin, Oleh Blochin, Igor Belanov, Olexander Savarov, Oleh Protassov o Oleksij Mychajlychenko.
Poi sono arrivate le varie nazionali e per i successori di Valery Lobanovsky in Russia sono arrivati tempi più complicati. Ma a Mosca come a Kiev, a San Pietroburgo come a Donetsk, nazionali e club hanno iniziato a copiare sempre più i sistemi occidentali, a prendere direttamente trainer e giocatori stranieri di caratura internazionale, sono giunti i grandi oligarchi a investire nel calcio.
In Russia ora la stella è Arshavin (che però gioca nell’Arsenal a Londra ed è pure membro del partito di Vladimir Putin “Russia Unita”), mentre la squadra è affidata all’olandese Dick Advocaat. In Ucraina la nazionale qualificata di diritto agli Europei si affida al grande Andrei Shevchenko, vecchia conoscenza del calcio italiano.
Anche i club parlano straniero, dall’italiano di Spalletti a Pietroburgo, al rumeno di Lucescu a Dontesk. È la globalizzazione postsovietica del pallone. Tanto che in Cecenia anche a Ramzan Kadyrov è venuto in mente di cooptare qualche mito e Ruud Gullit è finito ad allenare il Terek Grozny. Il campionato russo è ripartito, vinca il migliore.
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