Foto di Kommersant
Se qualcuno avesse sbirciato da una finestra del secondo piano dei grandi uffici sul lungofiume di fronte al Cremlino in una fredda sera di dicembre, sarebbe rimasto perplesso vedendo un gruppo di persone affollarsi attorno a qualcosa di molto piccolo.
Gli uffici erano quelli della Rosneft, la più grossa compagnia petrolifera del Paese, e il qualcosa di piccolo era in realtà un qualcuno, cioè Eduard Khudainatov, il simpatico presidente neoeletto della compagnia. In quel momento stava tracciando davanti a una folla di giornalisti e analisti industriali le linee guida della sua visione riguardo alla compagnia e la sua valutazione per il 2010, anno in cui l'attività estrattiva in Russia ha raggiunto il record dell'era post-sovietica.
Tra i tanti argomenti trattati, Khudainatov, un laureato uscito dal sistema russo per la tutela degli orfani, ha posto un'enfasi particolare sull'obiettivo di Rosneft di diventare un produttore di livello globale su tutti i continenti. Ha così dato prova di essere all'altezza delle proprie parole annunciando la conclusione del più grosso affare nella storia della Rosneft, concretizzatosi nell'accordo che la legherà al gigante petrolifero internazionale Bp.
Comunque Rosneft non è l'unica ad avere ambizioni transoceaniche. Lo scorso anno c'è stata l'acquisizione da parte di Tnk-Bp di azioni per un valore di 1,4 miliardi di euro in Venezuela e Vietnam, mentre la Lukoil ha affermato, in settembre, di ritenere più interessante il potenziale petrolifero dell'Africa occidentale piuttosto che quello della Siberia occidentale. “L'industria del petrolio è pronta ad espandersi all'estero - ha commentato Lev Snykov, analista della Vtb Capital -. Sarà questa la tendenza dei prossimi anni”.
I motivi che stanno spingendo le compagnie del petrolio e del gas fuori dalla Russia, nonostante qui si trovi una delle maggiori riserve di energia del pianeta, sembreranno oscuri ad alcuni osservatori, ma la spinta verso la diversità geografica è alimentata dal notevole peso delle tasse interne e dall'incertezza riguardo al carico fiscale futuro.
Gli analisti contattati dal Moscow Times hanno spiegato le anticipazioni emerse rispetto al regime fiscale, dato che gli sviluppi del 2011 potrebbero avere le implicazioni a lungo termine più significative. “Dal punto di vista degli investitori, l'unico problema è quello della tassazione,” ha detto Konstantin Cherepanov, analista della Ubs; a suo avviso la produzione russa è tenuta a galla dai giacimenti sparsi sul territorio, come quello di Vankor della Rosneft, messi in funzione meno di 10 anni fa. Tuttavia, quando queste risorse cominceranno a prosciugarsi, nei prossimi tre o cinque anni, il Paese potrebbe trovarsi ad affrontare un calo di produzione.
Numerose compagnie controllano riserve che potrebbero diventare molto redditizie, ma stanno rimandando le decisioni riguardo agli investimenti, a causa della mancanza di chiarezza riguardo ai progetti del governo sulla legislazione fiscale. Il direttore della Surgutneftgaz, Vladimir Bogdanov, ha dichiarato in dicembre che la compagnia “potrebbe crescere ancora grazie alle tecniche di recupero assistito (Eor, enhanced oil recovery), che però risulterebbero poco convenienti a causa del carico fiscale attuale”.
L'accordo tra Rosneft e Bp, che vedrà le due compagnie impegnate in una joint-venture per sfruttare le grandi risorse inesplorate della piattaforma artica della Russia, è stato accompagnato dalla promessa del Primo Ministro Vladimir Putin che il governo creerà delle “condizioni fiscali molto favorevoli per la realizzazione del progetto”.
Anche se non si prevedono grandi svolte o revisioni significative del sistema fiscale, l'industria ritiene che, nel corso dell'anno, verranno apportate delle modifiche. Facendo una media tra la prospettiva di un aumento delle tasse, che sarebbe dannoso, e una diminuzione delle tasse, che sarebbe impossibile viste le pressioni del bilancio, il governo russo potrebbe prendere in considerazione la possibilità di ridistribuire il carico fiscale all'interno del settore.
Secondo Cherepanov, parte del carico fiscale verrà trasferito dal settore dell'esplorazione e produzione alla fase di downstream. La costruzione della prima raffineria dalla caduta del regime sovietico è stata portata a termine da Tatneft nel Tatarstan nel 2010 e comincerà le vendite a breve, durante l'anno.
Tuttavia, il problema delle tasse non è l'unico da prendere in considerazione. Un'altra questione chiave da risolvere nel 2011, portata alla ribalta dal sodalizio tra Rosneft e Bp, è quella delle eventuali partneship. Particolarmente significativa è la decisione su chi sarà ad affiancare la Bashneft nello sfruttamento degli enormi giacimenti di Trebs e Titov. Molti ritengono che la scelta ricadrà probabilmente sulla Lukoil. Anche la maggiore compagnia indipendente nel settore del gas, la Novatek, si metterà con ogni eventualità alla ricerca di un socio in affari, probabilmente straniero, che la affianchi nei lavori di estrazione sulla penisola di Yamal. Il momento decisivo per l'industria del gas si verificherà nella seconda metà dell'anno, quando le risorse di gas cominceranno a fluire attraverso la prima linea del gasdotto Nord Stream che unirà direttamente la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico, dato che il progetto da 7.5 miliardi di euro sta per essere portato a termine.
Anche se Rosneft e Bp dominano la scena, altre decisioni importanti potrebbero emergere dalla strategia energetica del Paese nella ricchissima e inesplorata regione artica. L'attenzione potrebbe concentrarsi in particolare sull'enorme giacimento di gas di Shtokman, nel mare di Barents, controllato da Gazprom, Total e Statoil, che lo scorso anno hanno rimandato l'inizio della fase di distribuzione del gas al 2016.
“Riuscirà la Russia a produrre gas naturale liquefatto (Gnl) nell'ambito di questo progetto, che è stato messo in difficoltà dalle condizioni in cui si trova il mercato americano?”, si chiede Maria Kutuzova, editor della rivista Oil of Russia. La questione resta aperta. Il valore finanziario del progetto è stato messo in dubbio a causa della diminuzione della domanda di Gnl negli Stati Uniti, che stanno facendo sempre più affidamento a riserve di gas non convenzionali, tra cui il gas di scisto o shale gas.
La decisione finale riguardo agli investimenti sul giacimento di Shtokman, che nella sua prima fase è stimato in 11.3 miliardi di euro, verrà presa nella primavera del 2011. Dopo l'Artico viene l'Asia, non solo in ordine alfabetico, ma anche perché proprio l'Asia diventerà probabilmente l'arena di attività legate al gas e al petrolio nel corso dell'anno, dato che la Russia ha intenzione di incrementare i rifornimenti energetici verso l'oriente.
Il capo di Gazprom, Aleksej Miller ha dichiarato a novembre 2010 che “il volume delle forniture di gas al mercato asiatico raggiungerà il volume di quelle destinate al mercato europeo in tempi molto brevi”. Intanto, però, sono state le esportazioni di petrolio a essere incrementate per prime. I russi hanno fatto appena in tempo a spegnere i televisori dopo i tradizionali auguri presidenziali di fine anno, quando alle 00.30 del 1° gennaio 2011, il greggio ha iniziato ad affluire in Cina attraverso un nuovo oleodotto.
L'oleodotto Skovorodino-Daqing, costruito da Transneft e dalla Compagnia Petrolifera Statale Cinese, è stato tenuto a battesimo dal presidente Dmitrij Medvedev e dal presidente Hu Jintao a settembre 2010. Si tratta di un'estensione dell'oleodotto Siberia Orientale-Oceano Pacifico, costruito dalla compagnia statale Transneft. Soltanto in questo mese di gennaio si prevede un afflusso di circa 1,3 milioni di tonnellate di greggio attraverso il confine Russia-Cina.
Il crescente interesse di Mosca per il mercato orientale è sostenuto da previsioni secondo le quali il deficit energetico nel sud-est asiatico potrebbe aumentare di sette volte rispetto a quello di Europa e America durante i prossimi 20 anni, e che l'area fornirà il 75% della domanda di crescita mondiale fino al 2030. Per quanto riguarda il prezzo dei rifornimenti di gas alla Cina, si attende un'importante decisione nel 2011. Secondo i calcoli di Mikhail Korchemkin, direttore della East European Gas Analysis, la Gazprom vorrebbe vendere il gas ai cinesi per un prezzo di tre volte superiore a quello di mercato.
Il Vice-Primo Ministro Igor Sechin ha detto che lo scarto di 75 euro per migliaio di metri cubi, tra il prezzo offerto dalla Russia e quello che i cinesi sono disposti a pagare, verrà finalmente appianato, mettendo fine, dopo cinque anni, ai complessi negoziati verso la metà di quest'anno. Il volume dell'accordo è già stato stabilito. Gazprom fornirà alla Cina 30 miliardi di metri cubi di gas all'anno per i prossimi trent'anni, mentre l'inizio dei rifornimenti è in programma per il 2015. Infine, ogni riepilogo sulle prospettive del settore delle risorse naturali deve fare i conti con le previsioni sul costo volatile del greggio, un fattore chiave per un governo il cui reddito federale è costituito al 45% dalle entrate provenienti dal settore petrolifero.
Nel 2010, il prezzo medio del greggio è stato di 77,50 dollari (circa 58 euro)al barile, ma, dopo un periodo di cinque mesi di crescita stabile, è arrivato attorno ai 100 dollari (circa 75 euro) al barile. Gli analisti della JpMorgan e Goldman Sachs hanno detto che il prezzo continuerà a salire per tutto il 2011, raggiungendo i 120 dollari (circa 90 euro) al barile nel corso del 2012. Il ministro per lo Sviluppo Economico russo per il 2011 prevede, invece, un prezzo di 81 dollari al barile.
Il suo collega delle Finanze Aleksej Kudrin è ancora meno ottimista. “Il prezzo del petrolio non può essere pianificato in maniera precisa, soprattutto per periodi superiori all'anno in condizioni di crescita non sostenibile”. Ha inoltre affermato che non può esserci crescita economica con un prezzo superiore ai 60 dollari (circa 45 euro) al barile, ma indipendentemente dalle sue previsioni, Kudrin sarebbe felicissimo di un prezzo superiore ai 100 dollari al barile, che gli permetterebbe di estinguere il deficit del bilancio statale.
Non tutti, comunque, sono convinti che un prezzo elevato del petrolio possa portare alla Russia vantaggi a lungo termine. “Dal punto di vista della salute e della qualità economica – sostiene Cherepanov della Usb - preferirei vedere che il governo cerca di trovare delle soluzioni usando degli strumenti fiscali, piuttosto che contare su un aumento dei prezzi del petrolio per risolvere tutti i problemi”.
Per la prima volta pubblicato su The Moscow Times
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