Non
sono mancate in passato contrapposizioni tra Occidente e blocco
sovietico, originate da una convinta diversità tra democrazia e
comunismo. Esasperate anche dalla geopolitica della Russia che, più che
un Paese, si presenta come un doppio continente con profonde radici in
Europa e in Asia. E sebbene la nostra amicizia con il popolo russo non
sia mai stata messa in discussione, anche grazie a una fitta rete di
investimenti e rinnovati legami culturali, i pregiudizi occidentali
sulla Russia sono stati tanti, specialmente negli otto anni di Vladimir
Putin al Cremlino.
Facciamo un passo indietro. I pregiudizi tipici della guerra fredda
vennero meno dopo il 1985 quando, prima Mikhail Gorbaciov, poi Boris
Eltsin, divennero le icone di una nuova Russia che non meritava più, per
i commentatori occidentali, i veti del passato comunista. E non se ne
coglie la logica.
Gorbaciov - benedetto sia dal Kgb che dalla leadership del partito comunista – stava solo abbozzando un comunismo di matrice nuova. Poi negli Anni ’90 venne l’oligarchia corrotta al potere. Della genuina democrazia occidentale, di stampo parlamentare, non ve n’era traccia. I tanti pregiudizi svanirono nel nulla. Chissà perché!
Con Putin al Cremlino nel 1999, eletto a furor di popolo nel 2000 e nel 2004, i tabù contro la Russia tornarono con forza. Gli attacchi al nuovo leader, per il suo passato nel Kgb, furono costanti e perfidi. Ma anche per la ricchezza petrolifera russa che, pur non avendo garantito alcunché in passato, dal 1999 ha rivitalizzato l’economia, aiutando a ripagare il debito con l’estero, consentendo al Paese di uscire dalla crisi e rilanciando Mosca sulla scena politica globale.
L’Occidente avrebbe voluto una Russia debole, sia in Europa sia in Asia. Certo è che la paradossale macchina occidentale dei pregiudizi, delle credenze errate, della puzza sotto il naso, ha conosciuto nuovo vigore.
Siamo in vista delle elezioni presidenziali del 2012. Un passaggio delicato. Le aspirazioni politiche di Putin sono concrete, pur se non ufficiali: l’uomo che ha restituito al Paese stabilità sociale nonostante i tanti problemi non risolti e che ha reso credibile il rilancio dell’economia pare infatti l’unico politico russo capace di vincerle.
Sergi è docente universitario e autore del libro “ Misinterpreting modern Russia”
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