Foto di Archivio RG
Aleksandr Solzhenitsyn (1918 – 2008) è un importantissimo scrittore russo del XX secolo. Da solo, sfidò il sistema repressivo di uno Stato enorme, e ne uscì vittorioso. L’opera principale della sua lunga vita, il romanzo “Arcipelago Gulag”, venne scritto sotto la paura costante dell’arresto, quando a ogni minuto ci si poteva attendere una perquisizione e la prigione. Solzhenitsyn non aveva accesso agli archivi: viaggiando quindi per il Paese, intervistò gli ex-detenuti dei campi sovietici e nascose gli appunti sparsi così raccolti. Per la fretta febbrile di concludere, prese a lavorare con ritmi disumani, e come risultato nel 1973 vide la luce la più grande testimonianza dei delitti perpetrati dal regime sovietico, un quadro enorme per la metà del secolo. Il libro denunciava a gran voce il terrore su cui si poggiava il regime di Stalin. Le autorità sovietiche maledirono Solzhenitsyn, ma non riuscirono a fermarlo. Il mondo, con lui, ha conosciuto la terribile verità.
In Occidente venne pubblicata praticamente subito la versione ridotta (dallo stesso Solzhenitsyn) dell’”Arcipelago”, mentre in Russia l’opera completa vide le stampe solo nel 1990, e da allora esiste solo nella voluminosa versione in tre tomi. Essa vanta meriti incontestabili, essendo un libro eccellente non solo come testimonianza documentata di un’epoca, ma anche come grande opera d’arte corale. Ciò nonostante l’avvicinamento dei bambini a un formato del genere ha presentato alcune difficoltà, motivo per il quale lo studio di “Arcipelago Gulag” nelle scuole è sempre stato facoltativo. La vedova dello scrittore, Natalja Solzhenitsyna, ha ora realizzato la versione ridotta del libro, che è quindi entrato nel programma scolastico obbligatorio di letteratura russa del XX secolo.
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Dall’intervista a Natalja Solzhenitsyna, “Rossiskaja Gazeta”:
Perché la versione ridotta di “Arcipelago Gulag” è comparsa in Russia molto più tardi rispetto all’America o all’Inghilterra?
Venticinque anni fa Aleksandr Isaevich acconsentì con difficoltà alla riduzione di “Arcipelago Gulag” per gli studenti americani. Ma allora, forse peccando di superbia, pensavamo che per gli americani tre tomi fossero, naturalmente, troppo impegnativi, mentre in Russia, una volta liberato il Paese e stampato il libro, la questione della riduzione non sarebbe mai stata sollevata. Sono passati 20 anni, “Gulag” è stato stampato… Ma la vita ha preso una piega tale, che alle persone non rimane né spazio, né tempo libero… E’ dunque evidente come qui non siano solo i bambini, ma anche molti adulti, ahimè, a non riuscire a leggere “Arcipelago Gulag” per intero. Semplicemente la vita non dà questa possibilità.
Qual è la domanda fondamentale a cui gli studenti ricevono risposta dopo aver letto “Arcipelago Gulag”?
E’ molto difficile rispondere. Ogni persona ha la sua domanda e risposta fondamentale. “Arcipelago Gulag” non è un romanzo didattico, non contiene nessuna predica. Mi sembra però che tutti dopo la lettura capiscano una cosa, che è terribile quando di tutte le ingiustizie e i soprusi terribili che hanno luogo nel tuo Paese si viene a conoscenza e si inizia a discutere solo dopo un decennio. E’ una cosa intollerabile, bisogna reagire subito. Sono necessari carattere, coraggio e onestà, ma non si devono chiudere gli occhi di fronte alle cattiverie, proprio perché, come vediamo in “Arcipelago Gulag”, il male non dura per sempre, ma non si sconfigge da solo.
Nell’edizione a un tomo è presente una fotografia unica: Aleksandr Isaevich mentre indossa una giubba imbottita con il numero del prigioniero "Щ-282". Da dove viene questa fotografia? Chi l’ha scattata?
Questa fotografia è stata scattata durante i primi giorni di prigionia, ma non nel campo. Tuttavia le toppe sono autentiche, le conserviamo gelosamente. Aleksandr Isaevich le ha trafugate cucendole nella giubba, cosa che fecero anche i suoi compagni di viaggio, per poi fotografarsi l’un l’altro. Il proprietario della macchina fotografica si chiama Nikolaj Ivanovich Zubov. Lui e la moglie, anch’essi prigionieri, legarono molto con Aleksandr, nonostante lui fosse molto più giovane. I Zubov sono stati descritti con affetto da Isaevich in “Arcipelago Gulag” e presentati con il nome di Kadmin nel racconto “Padiglione Cancro”.
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