È opinione diffusa che il Paese sia in grado di esercitare il pieno controllo sulle proprie sorti economiche. Non è così. Negli ultimi dieci anni, l’economia russa è stata trainata da due fattori che sfuggono al suo controllo: il costo delle materie prime e quello del capitale. Nella fattispecie, il cartello petrolifero dell’Opec, il governo cinese e la Federal Reserve statunitense esercitano sulla Russia un’influenza pari a quella del Cremlino o degli oligarchi. Quasi ogni Paese è influenzato dal prezzo del petrolio e dal costo internazionale del capitale. Ma la Russia rappresenta un caso a parte perché si trova a subire entrambi.
La Russia esporta una quantità di petrolio, gas e carbone che complessivamente supera del 50 percento le esportazioni dell’Arabia Saudita, il secondo esportatore al mondo, e di tre volte quelle dell’Australia, il terzo. Ma, malgrado il loro contributo all’economia, gli idrocarburi danno lavoro a meno del 2 percento della popolazione.
La Russia è poi particolarmente suscettibile al costo globale del capitale. Quando nel 2006 il Paese aprì il proprio conto capitale, lo fece basandosi sul non irragionevole assunto che i mercati internazionali avrebbero ridistribuito il capitale nel Paese meglio di quanto non avrebbero potuto fare un asfittico mercato finanziario interno o un sistema bancario inefficiente. Ma purtroppo per la Russia, la crisi del 2008 ha dimostrato che anche i mercati internazionali hanno le loro pecche. La debolezza del settore bancario, l’inadeguatezza del mercato finanziario e un conto capitale aperto rendono la Russia particolarmente vulnerabile ai cambiamenti d’umore dei mercati finanziari globali.
A causa della sua singolare suscettibilità a due variabili estranee al proprio controllo e particolarmente soggette alla volatilità, la Russia è un’economia “boom-bust” (crescita-tracollo) per eccellenza. In tempi di crescita, sono pochi i Paesi che vedono la propria economia decollare quanto la Russia. Quando il clima internazionale muta, l’economia e i mercati russi crollano.
Una notizia buona e una cattiva
La buona notizia è che per la Russia le previsioni sul breve periodo
sono quasi ideali. Le sfide strutturali a cui Usa, Europa e Giappone si
trovano a dover far fronte lasciano a questi Paesi poca scelta se non
mantenere i tassi d’interesse pari a zero e ancora a lungo.
Contemporaneamente l’Opec e il governo cinese sembrano decisi a
mantenere alto il prezzo del petrolio.
Per quest’anno, un clima pessimistico potrebbe aiutare a contenere i
prezzi sul breve periodo, ma si prevede che sul medio termine i prezzi
delle materie prime aumenteranno come accadde nel 2007, quando il prezzo
del petrolio arrivò a sfiorare i 117 euro al barile.
Di conseguenza, non c’è motivo di credere che la Russia non possa
tornare a una crescita economica del 5-7 percento o che il mercato
azionario o immobiliare non possano raggiungere di nuovo un livello di
performance tra i migliori al mondo. Tuttavia, non appena il clima
internazionale muterà, la conseguente fase di arresto (“bust”) rischia
di essere tanto più marcata quanto più il “boom” che l’aveva preceduta
si era preannunciato roseo.
Il governo russo è da tempo consapevole della propria vulnerabilità. Il
crollo del prezzo del petrolio, sceso da 27 a 7 euro al barile tra il
1980 e il 1986, è stato una delle principali cause del crollo
dell’Unione Sovietica. La crisi del 1998 ha coinciso con una fase in cui
il prezzo “reale” del petrolio era il più basso della storia. E la
crisi del 2008 è quasi interamente attribuibile ai mercati finanziari
globali.
Di conseguenza le riforme hanno il duplice obiettivo di diversificare
l’economia e allontanarla dall’ambito delle materie prime e di creare un
settore finanziario capace di favorire il passaggio dei risparmi russi
alle imprese russe. Una risposta potrebbe essere quella di esercitare
una maggiore pressione fiscale sul settore petrolifero e una riduzione
fiscale sugli altri settori del mercato. Un’altra è quella di introdurre
nelle finanziarie Sberbank e Vtb una nuova dirigenza, più aperta alle
riforme. Il programma di modernizzazione del presidente Dmitri Medvedev è
una terza soluzione. Malgrado i commenti critici, la Russia di Medvedev
ha un programma di riforma e pure ragionevolmente ambizioso.
Roland Nash è capo della ricerca di Renaissance Capital
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