Altrettanto
innegabile è il fatto che la politica estera russa sia improntata
sull’opportunismo. Eppure, malgrado le affermazioni del presidente
Dmitri Medvedev, ancora non è chiaro cosa si nasconda dietro le
“alleanze per la modernizzazione” da lui promosse.
Lo scorso mese, con il discorso tenuto dinanzi ai diplomatici, il presidente ha confermato le sue priorità.
L’idea di fondo è chiara: la politica estera dovrebbe essere messa al
servizio delle esigenze nazionali. E considerando che la modernizzazione
occupa il primo posto dell’agenda domestica
è in quella direzione che i diplomatici dovranno indirizzare i propri
sforzi. La maggior parte dei commentatori interpreta le affermazioni di
Medvedev, anche nel campo della politica estera, come un’apertura nei
confronti dell’Occidente. La modernizzazione, secondo Mosca, richiede la
selettiva cooperazione nelle aree di maggior interesse nazionale
anziché basarsi su un’estesa integrazione con l’Occidente. Tale
orientamento, che per qualche tempo ha guidato la politica estera russa,
è stato in seguito accantonato per diversi motivi: la Russia è e
rimarrà una grande potenza e i suoi interessi sono destinati a
scontrarsi con quelli degli altri protagonisti della scena globale.
Il tentativo di Mosca di operare un “reset” nei rapporti con Washington e di estendere i rapporti di cooperazione
con l’Unione Europea sono motivati dal desiderio di attrarre nel Paese
nuove tecnologie e investimenti. Durante la presidenza di Vladimir Putin
le tensioni politiche impedirono la realizzazione di molti progetti
economici vantaggiosi; ma le “alleanze per la modernizzazione” non sono
necessariamente collegate a nuovi equilibri di politica estera. Per
attrarre investimenti e capitali esteri, il clima economico e lo stato
di diritto - aree in cui i diplomatici non hanno alcuna influenza -
contano decisamente più delle questioni di politica estera. E il
pragmatismo, benché di moda, sembra talvolta un eufemismo dietro a cui
Mosca cerca di nascondere la propria incapacità di definire il ruolo del
Paese a livello globale. Al tempo stesso la Russia si trova di fronte a
scelte importanti e il pragmatismo da solo non basta a compiere scelte
giuste.
Lo sviluppo interno può essere associato alla politica estera, ma sino a
un certo punto. Esiste il rischio che l’alleanza economica con le
nazioni occidentali per la creazione di “oasi di innovazione” prenda il
posto della reale democratizzazione dello Stato e della società. Ai
primi posti di ogni programma di politica estera si trovano sempre la
pace e la sicurezza ed è a queste che i diplomatici russi dovrebbero
indirizzare i propri sforzi, anziché alle priorità di modernizzazione
che il presidente sta promuovendo. Oggi, stando a Medvedev, la tendenza
generale è diretta all’armonizzazione dei rapporti, al dialogo e alla
riduzione dei possibili contrasti. Eppure, tra istituzioni
internazionali in declino, il venir meno di un duraturo ordine mondiale e
politiche nazionali imprevedibili, solo un irriducibile ottimista può
credere a dei rapporti equilibrati e a una ridotta conflittualità.
Fyodor Lukyanov è analista politico e il direttore della rivista Russia in Global Affairs
Disegno di Dmitry Divin
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