Uno dei motivi di questa batosta e del cambio della guardia è stata la
politica estera di Yushchenko, non tanto perché filo-europea, quanto
perché troppo anti-Cremlino. Il protagonista della rivoluzione
arancione, premendo per l’adesione alla Nato, ha guidato una battaglia
non solo contro Mosca, ma contro buona parte degli ucraini, ai quali
dell’Alleanza Atlantica non è mai importato nulla. E difatti è stato
rispedito a casa.
Yanukovich ha iniziato il suo mandato chiudendo di fatto la porta alla
Nato e siglando a Kharkov con il presidente russo Medvedev gli accordi
sul prolungamento della permanenza della flotta russa nella base di
Sebastopoli sino al 2042. Una mossa che la maggior parte degli ucraini
ha sostenuto con le dovute differenze nelle varie regioni: se all’Ovest i
più si sono dichiarati contrari, nelle altre parti del paese la
maggioranza è stata favorevole. La nuova linea politica di Kiev ha
insomma riportato tranquillità in casa propria e nei rapporti con il
Cremlino.
La Russia vorrebbe relazioni più strette e una maggiore integrazione
anche a livello economico, come sta accadendo con l’Unione doganale
insieme a Bielorussia e Kazakistan. L’Ucraina guarda però anche verso
l’Europa e lo stesso Yanukovich è alla ricerca di un equilibrio tra
Mosca e Bruxelles. Un banco di prova importante è quello del gas e della
modernizzazione del sistema di gasdotti ucraino: al Cremlino interessa
risolvere la questione in due, Kiev spinge invece per un consorzio
internazionale con i russi, ma anche gli europei. La soluzione va
cercata insieme.
L’autore è giornalista e vive in Ucraina. Ha fondato il sito di informazione East Side Report
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