Provocatore ad ogni costo

Negli ultimi anni Oleg Kulik, uno dei più stimolanti artisti russi e il più visionario curatore del Paese, ha vissuto una trasformazione spirituale che ha disorientato e arricchito la comunità artistica internazionale. Oggi l’artista è all’opera sulle sponde del fiume Ugra.

Oleg Kulik divenne famoso negli anni Novanta per le sue installazioni di performance art: in particolare, quella in cui interpretava un cane, e ispirato da Josef Beuys si rinchiudeva in apposite gabbie allestite all’interno di eleganti gallerie d’arte e si esibiva abbaiando, ringhiando e annusando. Si dice che abbia addirittura morso un critico. In un’installazione successiva, si è lasciato pendere da un soffitto con il corpo ricoperto di specchi - come una palla da discoteca. Ma ha anche volato come un uccello, rischiando di andare a sbattere contro un edificio...

Oggi, le sue foto e i suoi video – come quelli che lo ritraggono nudo, sulle sponde della Moscova, mentre gioca con i suoi cani – vengono acquistati per cifre mozzafiato.

Di questi tempi però, Kulik preferisce sorseggiare tè alla menta, mentre medita in una Yurt mongola. Si sta costruendo una casa in cima ad un albero, e ha assunto nei confronti dei suoi colleghi artisti un atteggiamento decisamente messianico. Ama contemplare la fede e l’amore. Stranamente, le opere di Kulik non hanno risentito di questo cambiamento, anzi: come dimostrato dal Festival di Archstoyanie (“l’Archi-Halte”, vedi l’articolo di Veronika Dorman), di cui è curatore, la sua creatività sta attraversando un periodo di grazia.

La quinta edizione del Festival si è svolta a Nikolo-Lenivets, sulle sponde del pittoresco fiume Ugra, nella regione di Kaluga. A parlarcene è lo stesso Kulik:

Cosa può dirci a proposito del festival?

L’edizione di quest’anno è stata diversa, per molti aspetti. Innanzitutto occuperà un’area più di dieci volte superiore rispetto al passato: quattrocentocinquanta ettari, anziché quaranta. All’evento hanno partecipato artisti validissimi, sia giovani che maturi, e la landscape art ha ispirato loro opere radicalmente innovative.

Non è paradossale, per degli artisti “urbani”, trovarsi a lavorare esclusivamente con la natura?

Il Festival si è svolto all’aria aperta (in un luogo bellissimo, tra laghi, fiumi, castori, ragazze, e costruzioni e chiese pittoresche), ma gli artisti che vi hanno partecipato sono abituati a vivere in grandi città, e a lavorare nell’ambito dei paesaggi urbani. Si è creato quindi un curioso paradosso: degli artisti che da tempo si erano allontanati dalla natura si sono riavvicinati ad un elemento che risulta loro nuovo. Al tempo stesso, capiscono quanto sia interessante considerare la natura alla stregua di soggetto qualsiasi, da includere nelle proprie opere. E benché provino un grande rispetto per il proprio lavoro, l’arte, le gallerie... la natura è come l’aria: esiste da sempre. E quando delle opere – per quanto suggestive e toccanti se esibite contro le pareti bianche di una galleria – vengono esposte all’aperto, tra la natura, una domanda sorge spontanea: a cosa serve l’arte?

E come risponderebbe?

I partecipanti del Festival Archstoyanie – Nove chiavi per il labirinto, non hanno dubbi: la natura non è a nostra disposizione, bensì siamo noi a far parte della natura. L’arte si accompagna alla natura e ne evidenzia gli aspetti migliori, senza sovrapporvisi.

Forse questa posizione non è ancora molto diffusa, ma sono convinto che abbia contribuito alla sopravvivenza dell’umanità. Durante gli ultimi trecento anni l’arte moderna si è allontanata dalla natura, e adesso la stiamo riconducendo in quella direzione. Vedremo quali saranno i risultati: questa iniziativa è molto vasta, e coinvolge numerosi artisti. Ma tutto ciò potrà essere valutato solo alla fine del Festival. Tutti sanno che un bambino, quando nasce, ha una testa, due braccia e due gambe, eppure quando veniamo al mondo siamo tutti diversi.

Quali sono le opere che si distinguono maggiormente?

È difficile a dirsi. Prendiamo per esempio l’opera creata dal gruppo di Yuri Grigoryan, che è molto interessante, perché Grigoryan vi ha operato un miracolo. Con l’aiuto della tecnica, naturalmente. Ha fuso insieme natura, paesaggio, strumenti, riferimenti storici e persino religiosi.

Può parlarci della sua casa?

La casa è un progetto a parte. Si tratta semplicemente del luogo in cui vivo, dove mi piacerebbe trascorrere il resto della mia vita, ma so che non sarà possibile. Una casa su un albero non è facile da realizzare, occorre tener conto delle norme sulla sicurezza... Ma poi, all’improvviso, è diventata una realtà. Da lì riesco a vedere tutti, e nessuno vede me. Posso sentire tutti, ma nessuno mi sente. Proprio come Dio.

Intervista di Liza Azarova




Reservoir Dog, 1995




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