Scandalo spionaggio: Kafka diventato realtà

Le “spie russe” Anna Chapman, Vicky Pelaez, Richard Murphy,Cynthia Murphy, Jose Lazaro. Foto di AP Photo/Elizabeth Williams

Le “spie russe” Anna Chapman, Vicky Pelaez, Richard Murphy,Cynthia Murphy, Jose Lazaro. Foto di AP Photo/Elizabeth Williams

Gli agenti russi arrestati negli Usa dovevano cercare dati che chiunque avrebbe potuto scovare in Rete.
Chiunque sia cresciuto nell’Unione Sovietica ed abbia superato la trentina, ricorda il famoso verso di un canto patriottico «Siamo nati per trasformare le favole in realtà» spesso parafrasato in «Siamo nati per trasformare Kafka in realtà». Il recente scandalo delle spie in missione negli Stati Uniti dimostra che i servizi di intelligence russi sono più kafkiani che furbi. Stando ai documenti del dipartimento di Giustizia Usa, i servizi di intelligence russi avevano assegnato ai propri agenti missioni che chiunque avrebbe potuto facilmente portare a termine, semplicemente leggendo i giornali o cercando su Internet. Alle spie era stato chiesto di chiarire quale fosse la linea politica degli Usa riguardo alla non-proliferazione degli armamenti nucleari e la strategia adottata dal presidente Barack Obama nei confronti della Russia culminata con la sua visita a Mosca nel luglio 2009. O di raccogliere le opinioni diffuse all’interno della Casa Bianca. Il ministro degli Esteri ha affermato il vero quando ha detto che gli individui posti sotto arresto «non hanno commesso alcun reato contro gli interessi degli Stati Uniti».


Durante l’era sovietica, alle spie dislocate negli Usa, che non godevano di alcuna immunità diplomatica, era vietato avere contatti con dipendenti dell’ambasciata sovietica o di qualsiasi altro istituto governativo per l’ovvio motivo che così facendo avrebbero potuto insospettire le agenzie di contro-spionaggio statunitensi. I dieci individui arrestati, invece, intrattenevano regolari contatti con i diplomatici delle missioni russe di New York e Washington, come dimostrato da alcune riprese dell’Fbi. Si rivolgevano ai diplomatici russi ogni qual volta i loro gadget smettevano di funzionare.



Gli Usa non hanno potuto accusarli di aver carpito informazioni segrete, poiché infatti le spie in questione sono state ben lungi dal procurarsene. Le accuse nei loro confronti vertono invece sul riciclaggio di denaro e sulla loro mancata dichiarazione di operare come agenti di uno Stato estero. Per evitarle sarebbe bastato “denunciare” gli agenti come lobbisti che, come i migliaia che affollano Washington e altre città sono liberi di raccogliere qualsiasi tipo di informazione accessibile al pubblico.



Perché, dunque, l’intelligence russa spende più di 10 milioni di dollari per missioni che non servono alcun utile scopo? Non è un caso che l’attuale rete di spionaggio sia stata creata agli inizi del 2000, quando Vladimir Putin divenne presidente. Lui e i suoi colleghi considerano i giornali stranieri e il materiale pubblicato dai think-tank disinformazione diramata dalla Casa Bianca allo scopo di ingannare la Russia. È per questo che negli Usa i servizi russi si servono di agenti che non godono di immunità diplomatica e operano per confermare ciò che potrebbe scoprire chiunque sia in grado di compiere una ricerca su Google. Le spie sono come soldati che vanno in giro indossando occhiali da visione notturna: facili bersagli per il controspionaggio Usa.

Alexander Golts è il vicedirettore del giornale online Yezhednevny Zhurnal

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