Pesaro: la 46ma Mostra del Cinema parla anche russo

Pesaro - la città di Gioacchino Rossini, autore del Barbiere di Siviglia - nelle Marche,pezzo d’Italia che si affaccia sull’Adriatico, mare chiaro, un po’ slavo e un po’ italiano, da parecchio tempo è un centro del cinema italiano e internazionale. Qui si tiene, infatti, la Mostra internazionale del Nuovo cinema che quest’anno è arrivata alla sua 46ma edizione.

Si è tratta di una rassegna originale, curiosa, attenta alle nuove tendenze ed al passato e che un occhio – in questo 2010 - puntato pure sul cinema russo. Che da oltre gli Urali, da più di un secolo, si consumi la storia della cinematografia è un dato, senza bisogno di scomodare autori indimenticabili come Dziga Vertov o Ejzenstein. Ma il nuovo cinema? Com’è il nuovo cinema che si produce nella Russia del XXI secolo? A guardare le proiezioni pesaresi e ad ascoltare la tavola rotonda che si è tenuta, al Festival, il 24 giugno scorso, si tratta di “un cinema che finalmente guarda all’uomo, alla vita e alla schizofrenia della società russa”. Su questo, almeno, sembravano concordare tutti tanto che Giovanni Spagnoletti, direttore della Mostra, ha già annunciato per il prossimo anno una sezione del Festival interamente dedicata al documentario russo.

L’aspetto più romantico di questi giorni di Festival è che girando per i luoghi della Mostra, magari camminando nelle vecchie strade del centro di Pesaro o gironzolando nei posti una volta cari al musicista Rossini, capitava sovente di imbattersi in un pezzo di Russia (e non solo). In riva all’Adriatico, per l’occasione della retrospettiva, sono infatti arrivati un sacco di autori e registi. L’elenco è lungo: Akhadov, Gleb Alejnikov, Tatiana Arzamasova, Irina Borisova, Olaf Möller, Ksenia Rappoport, Aleksey Fedorchenko, Antonio Geusa, Boris Khlebnikov, Marina Razbezhkina, Larisa Sadilova, Alena Shumakova, Bruno Torri, Vera Storozheva, Olga Strada, Boris Yukhananov e molti altri. Sono venuti in Italia, a Pesaro, per il piacere di discutere e di confrontarsi sui modi di fare film, sulle tendenze, sulle contraddizioni, sul dolore e sulla gioia che si nascondono nel vivere e nel fare cinema.

“Vidi Stalker di Andrei Tarkovsky in anteprima europea proprio qui a Pesaro – ha spiegato il direttore Giovanni Spagnoletti, parlando alla sezione del cinema russo. Si tratta di un festival che ha una lunga tradizione di rapporti con il cinema russo”. Dopo quasi trent’anni “era doveroso – ha aggiunto - rendere conto della produzione della Federazione Russa per il grande schermo, realizzata da diverse anime e varie generazioni che hanno permesso una importante rinascita dopo il declino degli anni Novanta”.

In fondo, a guardarsela bene, la Mostra di Pesaro ha reso omaggio, con la sua retrospettiva, a tutte le anime di questa produzione russa: dal cinema d’autore alla videoarte, dalle opere underground agli Sguardi Femminili, fino al movimento “Cine Fantom”. L’unica realtà russa non esplorata – ha spiegato Spagnoletti - è stata quella, vitale e composita, del documentario ma sarà protagonista di una sezione dedicata nella prossima edizione del festival”.

Così, nei giri di valzer (e di interventi) sulla vita e l’anima del nuovo cinema russo, alla 46ma Mostra di Pesaro è andato in scena un modo di confrontarsi sulle immagini e sui suoi substrati, siano essi sogni, cittadinanza, gioie e dolori, che ogni autore ed ogni Paese si portano con sé. Alena Shumakova, una delle curatrici della rassegna, ha sottolineato: “Questa retrospettiva, come il cinema russo di oggi, è una matrioska, dove la bambola più grande è il cinema d’autore e quella più piccola, all’interno, è il movimento Cine Fantom, un club animato da un grande fermento culturale da cui sono usciti molti giovani registi e alcuni tra i maggiori professionisti dei media russi. Cine Fantom è la bambola più piccola, ma anche il cuore della matrioska”.



Già, la matrioska, bambolo ed eco dell’immaginario europeo sulla Russia per molti anni. Come del resto l’Urss, quando si parlo di un passato recente eppure già così lontano. Una reminiscenza sul passato accolta e apprezzata da tutti i relatori, a partire dai registi Gleb Alejnikov e Boris Yukhananov. “Ai tempi dell’Unione Sovietica – ha spiegato quest’ultimo, in un passaggio del suo intervento alla tavola rotonda - il nostro cinema era ‘sdoppiato’, costretto ad esprimersi dentro le regole del partito ma capace di far passare un ‘messaggio segreto’ con un gesto artistico. Oggi i registi possono parlare di sé stessi in prima persona, non in rappresentanza di un paese o di un partito. Ma l’unica cosa che possono esprimere è una scissione, una schizofrenia tipica del nostro popolo, con un linguaggio libero e sanguigno, non più predeterminato”.

Perché ogni cinema, anche quello italiano, in fondo è pieno di contraddizioni, di realismo e di commedia, di amore e di odio. Di narrazione e di pathos. Un bipolarismo creativo che, per quanto riguarda la società russa degli ultimi decenni “è visibile – secondo Olga Strada, tra le curatrici della retrospettiva pesarese - in quasi tutti i film che fanno parte di questa rassegna, in cui spesso si racconta della ricerca di sé stessi e di una madre e di un padre ideali, oltre che di un più generico senso di abbandono”.

Abbandono, trasporto, contraddizioni. Chi, del resto, non ne ha? Anche per questo, forse, da alcuni giorni a Pesaro si respira un po’ d’aria russa, lì nelle strade di Rossini, genio della musica. Lui, così avido di vita da ripetere – sovente – che solo “l'amore soddisfatto è un piacevole passatempo mentre l'amore infelice è un dente guasto del cuore”. A pensarci bene un po’ come il cinema.

Massimiliano Lenzi è giornalista e autore televisivo

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Video e foto dal sito www.pesarofilmfest.it


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