Il 3 giugno si sono chiuse ermeticamente le porte della “navetta spaziale” virtuale del centro ricerche biomediche di Mosca dove l’italiano Diego Urbina e gli altri cinque volontari della missione Mars500 resteranno sigillati per 520 giorni. Tanti quanti ce ne vorrebbero per andare e tornare da Marte e per esplorare il Pianeta rosso. Urbina, 27 anni, resterà chiuso con tre russi, un francese e un cinese in condizioni di vita identiche a quelle di un equipaggio in viaggio per Marte, eccetto la gravità e le radiazioni cosmiche. Lo scopo dell’esperimento messo a punto da cinque anni dall’Istituto per i problemi biomedici (Imbp) di Mosca e dall’Agenzia spaziale europea (Esa) è studiare i rischi psicologici e fisiologici connessi a un isolamento totale per un periodo di tempo molto lungo nello spazio ristretto di una navicella spaziale. I giorni saranno equamente ripartiti tra lavoro, riposo e allenamento e tutto sarà rigorosamente razionato, dal cibo all’intimo.
Nel modulo abitativo le condizioni di vita sono spartane. La cucina
consiste in un forno a micro o nde e il salotto in un televisore. Lo
spazio personale è limitato alle sole camere per una superficie di tre
metri quadrati.
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I
contatti con la Terra saranno assicurati, ma rigorosamente razionati.
Elena Feichtinger, responsabile del progetto per l’Esa, fungerà da
mediatore tra i “prigionieri” e il mondo esterno e precisa: «Potranno
inviare messaggi stringati ai loro parenti più intimi che a loro volta
li terremo al corrente degli avvenimenti più importanti che accadono nel
mondo. Ogni scambio d ’informazione dovrà però passare al vaglio degli
psicologi».
Mars500 è una sorta di “Grande Fratello” scientifico: grazie a 70
telecamere la vita degli abitanti del modulo sarà tenuta sotto controllo
24 ore al giorno da un medico e da un tecnico che interverranno in casi
di grave emergenza. I volontari, in ogni caso, sono addestrati a
superare ogni sorta di eventualità.
I numeri 520 i giorni impiegati dall’equipaggio per andare e tornare (virtualmente) da Marte ed esplorare il pianeta 6 i volontari che partecipano al programma “Mars 500”, risultato della collaborazione tra Imbp e Esa 70 le telecamere che seguiranno i sei ricercatori trasmettendo i video al dottore di turno e alla squadra di ingegneri |
Non appena la navicella avrà raggiunto nella simulazione una certa
distanza dalla Terra, ci sarà un ritardo di circa 40 minuti nella
trasmissione e nella ricezione dei messaggi e nessun intervento potrà
dunque essere eseguito in comunicazione diretta. Dopo aver simulato 240
giorni di viaggio verso Marte , tre dei sei volontari s imuleranno
l’esplorazione del Pianeta rosso, indossando autentici scafandri
“Orlan-E”.
«Stiamo sperimentando metodi di pronto soccorso utilizzabili senza una
specifica formazione medica», ha spiegato Julien Graf, interno alla
facoltà di Medicina dell’università di Magonza, prima di mostrare come
si pratica una rianimazione cardio-polmonare su un manichino di
ultimissima generazione che si lascia perfino intubare. Una delle tante
esercitazioni a cui i cosmonauti si sono prestati molto
coscienziosamente prima del 3 giugno. Prima di “decollare” a giugno, gli
astronauti diretti su Marte hanno impiegato infatti almeno quattro mesi
ad allenarsi quotidianamente e a imparare anche a conoscersi.
"I volontari potranno inviare ai loro parenti messaggi stringati, che però dovranno passare al vaglio degli psicologi" |
Certo, non è del tutto estranea dalla loro mente la sensazione di partecipare a un grande gioco di ruolo, ma questa consapevolezza non dovrebbe avere una grande influenza sui risultati finali dell’esperimento. Un vero viaggio vero Marte comporta grandi pericoli ed enormi sacrifici. La motivazione, in ogni caso, è proporzionale al rischio. La simulazione naturalmente comporta meno pericoli e quindi anche minore motivazione. Ma c he si tratti di prendere parte a “un piccolo passo in più per l’umanità” o di mettere alla prova i propri limiti, è con unanime soddisfazione – e « con grande orgoglio per la propria famiglia », ha assicurato Diego Urbina – che i sei volontari si sono trasformati nelle fiere cavie di un progetto vecchio quanto l’astronautica stessa.
“È sempre stato il mio sogno”
Intervista con Diego Urbina
Cittadinanza: italiana
Età: 27
Residenza: Torino
Urbina è nato a Bogotà 27 anni fa da padre colombiano e madre italiana.
Nel 2002 è arrivato a Torino dove risiede. “ Russia Oggi ” lo ha
intervistato alla vigilia dell’inizio della missione Mars500.
Urbina, come è venuto a conoscenza del progetto?
Consulto regolarmente il sito dell’Esa e ho letto l’annuncio. Avevo i
requisiti (una laurea in Aeronautica e un master in Studi spaziali) e mi
sono candidato.
Cosa l’attira del progetto?
Mi piacerebbe prendere parte a vere missioni nello spazio. Nell’attesa è già un grande onore prendere parte a questo programma.
Cosa pensa di questa collaborazione russo-europea?
La collaborazione con i russi è indispensabile: hanno un’esperienza
inestimabile. In ogni caso, un vero volo su Marte si potrà realizzare
soltanto con sinergie internazionali.
Com’ è stato l’addestramento?
Appassionante. Scienziati e ricercatori di tutto il mondo ci hanno
raccontato che tipo di esperienze vivremo. La cosa più interessante e
più difficile è stata imparare a sopravvivere in condizioni estreme.
Ha dei timori?
Temo soprattutto gli effetti psicologici della vita in un luogo chiuso.
Per ridurre al minimo le difficoltà, ho scaricato interamente Wikipedia e
sto portando con me fotografie, musica, film, giochi.
Che rapporti ha con gli altri membri dell’equipaggio?
Ci capiamo bene e andiamo d’accordo. In un anno e mezzo sarà inevitabile
che sorgano tensioni, ma sono sicuro che riusciremo a risolvere ogni
problema.
La sua famiglia ha approvato la sua scelta?
È molto fiera di me. Sa che il mio sogno è sempre stato una missione spaziale e mi appoggia incondizionatamente.
L’esperimento “Mars 500”
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