I segreti di una tavola da zar

A partire dalla prima testimonianza scritta in occasione del banchetto in onore del principe Jurij Dolgorukij, la cucina russa è sempre stata ritenuta poco entusiasmante in Occidente. In realtà ci vuole tempo per conoscerla e apprezzarla.

«I Russi hanno una cucina assai stravagante», scriveva nel suo diario il tesoriere olandese Antonis Goeteeris dopo essere arrivato a Mosca nel 1615. Un’affermazione che si differenziava ben poco dalla primissima testimonianza pervenutaci sulla cucina russa ad opera di Ibn Rustah, storico, astronomo e geografo arabo dell’inizio del X secolo. Gli slavi orientali, secondo Rustah, si nutrivano esclusivamente di latte di cavallo.

L’eco di questi racconti sui pasti quotidiani dei russi persiste ancora oggi. Mi è capitato ad esempio di leggere che la zuppa russa okroška venga preparata miscelando birra e vodka o che il borš debba assolutamente essere servito solo una volta andato a male. Si noti che non l’ho letto su manoscritti medievali, ma su riviste patinate moderne o siti gastronomici.

La cucina di un popolo deriva dal territorio in cui vive. La terra russa, pur caratterizzata da dimensioni enormi, non è affatto fertile e il clima rigido per gran parte dell’anno non ne consente la coltivazione. In compenso, questo paese ha da sempre potuto usufruire di un ricco patrimonio boschivo. Le foreste di latifoglie e la taiga di conifere hanno sempre fornito al popolo russo una grande quantità di combustibile da utilizzare ogni giorno per alimentare il focolare nazionale, la stufa russa.

La stufa russa, per utilizzare il gergo tecnico moderno, ha un coefficiente di rendimento bassissimo: non supera il 30%. Le dimensioni della sua cavità interna sono tali da poter consentire persino a un adulto d’entrarci e, se necessario, di utilizzarla per lavarsi.

Per portare la temperatura interna di un focolare di queste dimensioni al livello necessario per sfornare il pane occorrono almeno una decina di ciocchi, cioè quasi un albero intero, pur se piccolo. Dopo aver portato una buona stufa a regime, è però possibile utilizzarla per cucinare contemporaneamente più piatti che richiedono un’emissione di calore costante, infornare il pane e cuocere pirog (pasticci) per tutta la famiglia. Ed è proprio su questo lento processo di raffreddamento, che preserva il calore all’interno della stufa anche 8-12 ore dopo l’accensione, che si basa la cucina nazionale russa.

Storicamente, la cucina russa non conosceva le fritture a fuoco aperto. Tutti i piatti venivano cucinati per diverse ore nella stufa senza aggiungere grassi od olio e si lasciavano cuocere nel proprio brodo.

La zuppa russa più conosciuta e più popolare è senza dubbio lo ši. Per gli stranieri è sempre stato un mistero difficilmente penetrabile. Un ambasciatore giunto a Mosca da Roma nel Seicento scriveva: «La loro idea di un banchetto sontuoso è una zuppa con avanzi e foglie di cavolo sminuzzate. Qualora il risultato non sia di loro gradimento, vi versano una gran quantità di latte rappreso». Lo ši, in realtà, può essere preparato secondo una varietà di ricette.

D’altra parte, in virtù dell’amore nazionale per le zuppe, la gastronomia russa è la più ricca di minestre al mondo. In un ricettario dell’Ottocento ne vengono nominate ben 115, tra cui anche la zuppa di pane e vino e la zuppa di amarene e granaglie. Per quanto sorprendente, più della metà di queste ricette vengono utilizzate ancora ai nostri giorni. Ancor oggi, del resto, la zuppa continua a costituire la portata principale del pranzo. In inverno e in primavera, i crauti erano la verdura più diffusa, perché si conservavano facilmente. Inoltre, come effetto della tecnica di fermentazione utilizzata, si moltiplicavano le vitamine.

Nel trattato dell’ambasciatore si parla inoltre del famoso caviale nero russo. Il lettore contemporaneo probabilmente rimarrà di stucco nell’apprendere che 400 anni fa, in alcune città oltre gli Urali, le uova secche di storione venivano aggiunte, in anni di carestia, alla farina come un qualsiasi surrogato a buon mercato.

A base di pesce vengono preparati anche i pirog (pasticci) conosciuti solo in Russia: kulebjaka, rybnik, rasstegaj. Secondo un detto popolare, «nei pirog ci puoi mettere quello che vuoi». Infatti, esiste una grande varietà di ripieni, di tipi di pasta e di pirog stessi. Ci sono i pirog aperti, quelli chiusi solo da un lato, quelli con un’apertura al centro, quelli senza sale, acidi, dolci o salati. I piatti a base di farina ancor oggi rappresentano il fiore all’occhiello della nostra tradizione culinaria nazionale.

Inoltre, non si può fare a meno di ricordare la okroška e la botvin’ja tanto amate dai russi: zuppe fredde a base di kvas, la bevanda nazionale prodotta con malto o farina. Da quanto ho potuto osservare, la okroška è l’unico piatto che, in virtù del suo aspetto, provoca una certa diffidenza negli stranieri che visitano la Russia.

Per apprezzare la okroška, è necessario abituarcisi fin da piccoli, assaggiarla quando viene preparata con il kvas della nonna. A questo proposito, è opportuno citare lo scrittore francese Théophile Gautier, che viaggiò per la Russia nell’Ottocento. Parlando di cosa lo avesse sorpreso della cucina russa, l’autore termina la sua rassegna con queste parole: «Dopo alcuni mesi in Russia ci si abitua ai cetrioli, al kvas e allo ši, alla cucina russa nel suo complesso, che a poco a poco si comincia persino ad apprezzare».

La ricetta dei bliny
250 g di farina di grano duro
7 g di lievito in polvere
7 g di zucchero
5 g di sale
3 uova
250 ml di latte
150 ml di panna acida
100 g di burro fuso
1. In una ciotola grande, unire farina, lievito, zucchero e sale. Quindi aggiungere latte, panna e tuorli d’uovo e mescolare.
2. Coprire la ciotola con una pellicola trasparente e attendere che sulla superficie del composto si formino delle bollicine.
3. Sbattere gli albumi fino a ottenere una miscela della stessa consistenza, quindi versare il tutto nella ciotola.
4. Versare in una padella riscaldata unta di burro tre cucchiaini di pastella, distribuendola in maniera uniforme.
5. Friggere fino a quando i bordi non diventano croccanti e il centro non si asciuga.

Maksim Syrnikov è esperto di gastronomia e autore di diversi libri sulla cucina russa.

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