Yalta, quella conferenza che cambiò il mondo

Churchill, Roosevelt e Stalin a Yalta (Foto: Tass)

Churchill, Roosevelt e Stalin a Yalta (Foto: Tass)

Come si passò dalla cooperazione internazionale per battere il nazismo alla Guerra Fredda

Gli storici, quando parlano della Conferenza di Yalta, si chiedono spesso se l'unità dei leader mondiali durante il suo svolgimento non fosse che una mera illusione, alla luce soprattutto della successiva Guerra Fredda. E qualora non fosse così, allora perché si rivelò così fragile e chi fu responsabile del suo fallimento?

Il desiderio di raggiungere un accordo

Gli storici ritengono che non sia del tutto corretto definire “un’illusione” l’aspirazione di raggiungere un compromesso che i leader dei paesi vincitori della guerra dimostrarono all'inizio del febbraio del 1945. “Non la consideravano affatto così i partecipanti della conferenza di Yalta, ovvero i leader di Unione Sovietica, Stati Uniti e Gran Bretagna”, osserva Mikhail Myagkov, direttore scientifico della Società storico-militare russa, intervistato da Russia Beyond. “Stalin, Roosevelt e Churchill volevano veramente concordare le regole del gioco e stabilire come l’assetto mondiale si sarebbe sviluppato dopo la guerra" spiega lo storico. "L'obiettivo principale del loro incontro era evitare la possibilità di un futuro dominio tedesco in Europa, prevenire l'insorgere del nazismo e porre fine alla guerra in modo da garantire un lungo periodo di pace. La conferenza di Yalta è riuscita, complessivamente, a raggiungere quest’obiettivo", ha dichiarato Myagkov, ricordando l’accordo dei “tre grandi” in merito alla Carta delle Nazioni Unite.

I contrasti già sorti a Yalta

Secondo lo storico tedesco Jost Dülffer, nonostante a Yalta "i leader fossero riusciti a raggiungere dei compromessi isolati", la conferenza “evidenziò chiaramente anche delle profonde differenze” per quanto riguarda questioni come, ad esempio, la composizione del governo polacco e l’ammontare delle riparazioni tedesche per l'Unione Sovietica e il resto dei Paesi. "I fattori unificanti in mano agli alleati si esaurirono già intorno agli anni 1946-1947”, ha spiegato lo storico in un'intervista con il canale radio DW. Secondo Dülffer, a Yalta i leader avevano ancora una possibilità, tuttavia il "confronto di ideologie - comunismo da un lato e capitalismo dall’altro – fece sì che ciascuna delle parti iniziasse a sviluppare a modo sua la propria sfera di influenza”. Oltre a ciò, lo storico tedesco cita anche un’altra causa principale del disaccordo tra Mosca e le capitali occidentali.

"L'Unione Sovietica aveva liberato l'Europa dell'Est dalla Germania nazista ottenendo di conseguenza la possibilità di far valere i propri interessi sui territori liberati", sostiene Dülffer. Ci sono, tuttavia, ricercatori che fanno ricadere la principale responsabilità del fallimento di Yalta e dello scoppio della Guerra Fredda su Stalin. Come osserva lo storico militare Boris Sokolov, al momento della definizione, a Yalta, delle sfere di influenza in Europa, l'Occidente non si aspettava che "il dominio dell'Unione Sovietica sarebbe stato così assoluto all’interno della propria sfera di influenza", ritenendo che "sarebbe stato qualcosa di simile a quanto avvenuto in Finlandia, la quale era sotto la sfera di influenza sovietica, ma aveva mantenuto la propria indipendenza senza essere sovietizzata".

L’interesse per il capitale americano

Allo stesso tempo, molti storici non concordano sul fatto che la politica di sovietizzazione dell'Europa orientale abbia portato alla Guerra Fredda, sostenendo che Stalin cercò di aderire allo "spirito di Yalta", senza forzare, subito dopo il termine della guerra, la conversione dei Paesi della regione in satelliti comunisti dell’URSS. “Stalin contava sul fatto che non ci sarebbe stato un cordone sanitario lungo i confini dell'Unione Sovietica, bensì una zona di sicurezza composta da Paesi non pro-comunisti, bensì Paesi dell’Europa dell’Est con un atteggiamento amichevole nei confronti dell'Unione Sovietica: Polonia, Romania, Ungheria e Cecoslovacchia”, sostiene Mikhail Myagkov. "Egli non disse mai che questi Paesi sarebbero stati sovietizzati e i loro governi inondati da leader comunisti. Tutti [nella leadership dell'URSS] sapevano che in tal caso sarebbero andati incontro all’opposizione dell'Occidente, anche a livello economico, proprio nel momento in cui Mosca stava negoziando la continuazione degli aiuti concessi dagli Stati Uniti per ricostruire il Paese devastato dalla guerra", sottolinea lo storico, ritenendo che la responsabilità per lo scoppio della Guerra Fredda vada divisa tra Occidente e Unione Sovietica.

Ripeterà il Cremlino gli “errori del passato"? 

Gli storici che studiano il periodo del dopoguerra ritengono che sia possibile effettuare dei parallelismi tra le politiche dell'URSS di quel periodo e le azioni condotte attualmente dal Cremlino. Secondo Dülffer, "la situazione attuale in Europa ricorda molto quel periodo. Putin, alla luce della politica da lui condotta e dalla natura delle sue azioni, continua la "tradizione stalinista". Lo storico osserva che in Europa si sta ricreando una divisione delle sfere di influenza, che non ci si sarebbe aspettati dopo gli anni 1989-1990. Tuttavia, non tutti i politologi considerano che la politica del Cremlino sia la sola forza trainante dietro il conflitto in corso. "In termini geopolitici, questa lotta sulle sfere di influenza, che ebbe inizio a Yalta, non è mai terminata. Essa si era accesa e poi solamente assopita. Oggi assistiamo all'ultimo atto di questa lotta con il mondo occidentale che crede di avere tutte le carte buone in mano e che la Russia non si rialzerà più dopo gli anni ‘90”, conclude Mikhail Myagkov.

L'articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Russia Beyond the Headlines del 30 aprile 2015

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