Prilepin a viso aperto

Lo scrittore Zakhar Prilepin, considerato uno degli autori russi più popolari del momento (Foto: Tass)

Lo scrittore Zakhar Prilepin, considerato uno degli autori russi più popolari del momento (Foto: Tass)

Intervista allo scrittore russo che ha da poco ottenuto il riconoscimento per il miglior libro dell’anno e il premio “Bolshaia kniga”. Per parlare di letteratura, politica e Ucraina

Vive in un piccolo villaggio a quattrocento chilometri da Mosca. Ma nei giorni scorsi Zakhar Prilepin, uno degli scrittori russi più popolari, si è recato nella capitale per ritirare l'ennesimo premio letterario. Il corrispondente di Rbth si è intrattenuto con lui, conversando di libri, politica, rapporti con l’Occidente e l’Ucraina.

Zakhar Prilepin, membro del Partito nazional-bolscevico (messo al bando in Russia) ed ex agente dell'Omon (i reparti speciali russi), ha anche combattuto nel conflitto ceceno. Ha esordito sulla scena letteraria russa nel 2004 con il romanzo Patologie e ha al suo attivo una decina di romanzi e un gran numero di prestigiosi premi letterari. Il suo ultimo romanzo Obitel (La dimora), che racconta del lager a destinazione speciale delle isole Solovetskij, ha ottenuto il riconoscimento di miglior libro dell’anno e a giorni verrà insignito del premio “Bolshaia kniga”.

Come ci si sente a essere l’autore del miglior libro dell’anno?

Sono una persona adulta e ormai non mi scompongo davanti a certi fenomeni. Ogni anno fa la sua comparsa un nuovo autore dell’anno. Quello della letteratura è un ambito in cui bisogna dimostrare continuamente il proprio valore finché non si acquisisce un certo peso critico.

E qual è il segreto del successo di Obitel?

Credo sia legato in parte al fatto che il libro non viene recepito come una storia secolare dei lager, ma come un romanzo che parla delle questioni che più preoccupano i russi: le relazioni uomo-donna, il rapporto tra libertà e schiavitù e tra l’uomo e ciò che lo sovrasta. Sergei Esenin una volta ha detto che “Le cose più importanti si colgono a distanza”. Ci siamo allontanati un po’, e  guardando a quei tempi, riusciamo a comprendere qualcosa anche del nostro presente. E poi è un libro discreto.

Lei viene tradotto in molte lingue, ma è uno scrittore “molto russo” e forse un lettore straniero potrebbe avere delle difficoltà a comprendere le sue opere…

È un mito da sfatare - e per di più tipicamente russo - ritenere che i nostri piccoli problemi locali non possano essere di alcun interesse per il mondo. Non esiste una letteratura del genere umano, ci sarebbe quella degli umanoidi che nessuno però finora ha mai incontrato.

Dostoevskij e Tolstoj incarnano i nostri tormenti intimi. Forse è per questo che gli stranieri si entusiasmano più di noi per Dostoevskij: Dostoevskij mette a nudo la nostra essenza e gli stranieri giudicano i russi basandosi sugli eroi dostoevskiani.

Potrebbe dare qualche consiglio ai traduttori delle sue opere?

Suggerirei loro di non prestare troppa attenzione ai realia russi, ma di tradurli in modo da renderli comprensibili ai loro lettori. Molto spesso è più importante restituire lo spirito di un testo che non trovare degli equivalenti testuali.

È ciò che è accaduto con la mia prima traduzione in una lingua straniera. Si trattava di Patologie, tradotto in francese nel 2006. Nella traduzione i combattenti dell’Omon a Groznyi nel 1996 mangiavano sardine (mentre nel mio testo erano spratti) e viaggiavano a bordo di jeep (mentre nel testo russo erano camionette). Dapprima mi faceva un effetto strano, ma poi la traduttrice mi ha spiegato che in Francia sono solo i poveri a mangiare le sardine e che da loro le camionette non esistono e così ho capito che aveva ragione lei, che ciò che contava era il senso.

Quale libro della letteratura russa consiglierebbe a uno straniero?

So che in Romania e in Polonia è stato inserito nei programmi scolastici il romanzo IlMaestro e Margherita di Bulgakov: forse si deve proprio partire da questa letteratura così brillante e divertente. È un romanzo geniale, ma non figura tra i miei libri prediletti. Amo molto di più il Placido Don che per me è allo stesso livello dell’Iliade e dell’Odissea.

Si possono prendere anche Guerra e Pace o Anna Karenina e confrontare le loro trasposizioni cinematografiche con il testo scritto da Tolstoj.

E poi naturalmente si deve leggere Obitel.

Negli ultimi tempi lei è stato parecchie volte nella regione di Donetsk. Ci dica qual è la sua opinione riguardo alla situazione in Ucraina.

Sono stato spesso nel Donbass e sono rimasto stupito vedendo quanti volontari di etnia non russa si recano laggiù: osseti, ceceni, georgiani. La lotta contro la corruzione in Ucraina si è trasformata a poco a poco in russofobia. Alcuni vi hanno ravvisato una scommessa su un futuro migliore. La Russia aveva una posizione un po’ scettica al riguardo, ma aspettava. A un certo punto la società ucraina è implosa e siamo stati costretti a schierarci.

Sono stato parecchie volte in Ucraina e anche prima, negli anni Duemila, tutta l’intellighenzia ucraina aveva un atteggiamento antirusso e sosteneva che il paese si trovasse sull’orlo della guerra civile. Ma ora attribuiscono tutte le responsabilità alla Russia, anche se la Russia non c’entra, dal momento che metà Ucraina rifiuta di aderire alla mitologia di matrice ucraina. Vuole continuare a vivere nel solco della tradizione storica russa e parlare russo. Nelle condizioni che si sono venute a creare i russi si sentono come degli ospiti costretti a comportarsi come tali, ma i russi vivono lì da sempre.  

Si arriva fino all’assurdo, si è costruita una storia ucraina, ignota a tutti e priva di fonti storiografiche poiché è stata inventata ex novo in Ucraina e si pretende che i russi vi prestino fede, ma i russi non vogliono. Gli stranieri non possono capirlo e vedono il rifiuto da parte dei russi di accettare questa mitologia ucraina come un’aggressione. Ma la loro non è che una pura espressione di democrazia, la volontà di un’immensa parte della popolazione che non accetta di vivere così.

In Occidente si sostiene che occorreva rispettare le procedure approvate, ma non esiste un mondo ideale. Gli abitanti della Crimea volevano già la secessione da molti anni, ma non avevano avuto in questo alcun sostegno. E ora tutti li accusano di aver agito in modo sconsiderato, ma nessuno gli avrebbe mai consentito di farlo.

Sono stato uno dei primi a esprimere una posizione dura contro Maidan, percependone gli umori antirussi. Tuttavia, già allora esaminando la classifica degli e-book più venduti in Ucraina, avevo notato che il mio Obitel figurava al secondo posto. Ora che è trascorso un anno in Ucraina sono già pronti a farmi a pezzi, ma quest’anno sono uno degli autori più venduti da loro. Certo gli indici di vendita dei miei libri non saranno un indicatore, ma sono sicuro che anche nell’Ucraina occidentale sono in molti ormai a capire di essere responsabili per ciò che sta avvenendo. 

Quali sono gli obiettivi e la missione dei suoi viaggi in Ucraina? 

I miei obiettivi sono diversi, ma il primo e il più importante è quello di fornire aiuti umanitari ai vari enti e alla gente, inclusi gli abitanti pacifici, gli ospedali e le scuole.

Quando e come finirà questa guerra?

Potrebbe terminare se gli Stati Uniti se ne andassero via, in ferie per un mese, dicendo che non intendono occuparsi più di niente. Ora il problema è chi potrà nutrire e salvare l’Ucraina perché il paese non ha cuscinetti di salvataggio, è in bancarotta e 40 milioni di persone resteranno ora senza mezzi di sussistenza. O l’Europa, sotto la pressione degli Stati Uniti, continuerà anche in futuro ad attribuire alla Russia tutte le responsabilità e tutto seguiterà ad andare così, o proverà compassione per questo popolo sventurato e si farà carico di una parte dell’Ucraina, consentendo all’altra di scegliere la secessione, ma in un modo o nell’altro finirà con l’avvicinarsi alla Russia.

È del tutto evidente come l’Ucraina non sia in grado di vincere il Donbass sul piano militare. D’altro canto, non si può neppure fermare questa guerra perché la situazione è davvero incandescente. La comunità ucraina mobilitata somiglia un po’ a una bicicletta: finché la guerra continua, va, ma non appena s’interrompe, comincia a cadere. E l’interrogativo è il seguente: chi la rimetterà in piedi?

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