Al momento dello scoppio del conflitto vivevano in Siria oltre 100mila cittadini russi.
: Ramil Sitdikov/RIA NovostiOggi Katya vive a Mosca. Il suo stile di vita non si differenzia molto da quello di migliaia di altre ragazze della sua età: studia, lavora, nel tempo libero pratica sport e la sera frequenta dei locali. Ma fino a tre anni fa viveva in un altro Paese. E la sua vita era totalmente diversa. La guerra in Siria ha messo Katya, come altri figli di famiglie miste russo-siriane, di fronte a una scelta: restare nel Paese. O fuggire.
La guerra in Siria ha avuto inizio nel marzo 2011. Secondo le stime dellu2019Onu le vittime sarebbero oltre 250mila e i siriani costretti ad abbandonare le proprie case ammonterebbero a parecchi milioni. I profughi ufficialmente registrati sarebbero 4,8 milioni. Al momento dello scoppio del conflitto vivevano in Siria oltre 100mila cittadini russi. Le famiglie russo-siriane risiedevano prevalentemente nei maggiori centri urbani siriani: Damasco, Aleppo, Homs, Tartus e Latakia.
La svolta
Quando è cominciato il conflitto Katya Toama, 31 anni, aveva sperato fino all’ultimo che tutto tornasse alla normalità. La guerra a Damasco non ha mostrato subito il suo vero volto: inizialmente ci sono stati dei black-out, poi problemi col carburante. La città ha cominciato a tremare sempre più spesso per le esplosioni e poi gli attacchi dell’artiglieria si sono fatti più vicini e per le strade sono comparse file di esuli. Malgrado ciò, Katya continuava la sua vita di sempre: portava a passeggio il cane, andava al lavoro e all’università e la sera s’incontrava gli amici. Una volta però nel cortile di casa sua sono caduti dei colpi di mortaio. Era un segnale, o meglio la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il giorno dopo Katya ha deciso di abbandonare la Siria.
Katya Toama. Fonte: archivio personale
In Russia ha dovuto affrontare una molteplicità di problemi. “Era tutto molto strano per me: la mia esperienza di lavoro decennale non risultava adeguata. Non aver seguito uno stage ufficiale in Russia mi penalizzava, era recepito come una mancanza di competenze - ricorda Katya -. A casa si parlava solo in arabo e io avevo un accento marcato. Il mio accento rendeva subito diffidenti i miei interlocutori. Non appena dicevo di venire dalla Siria mi subissavano di domande e dovevo convincerli che in Siria conducevo una vita normale, lavoravo, ero cristiana ed ero una cittadina russa proprio come loro. E dallo Stato non ricevevo nessun sussidio speciale. La gente pensava che fossi venuta a fare la bella vita a spese dei contribuenti russi”.
Ora tutto questo appartiene al passato. A distanza di sei mesi dal suo arrivo, Katya è riuscita a trovare un lavoro e a iscriversi all’università. “Ho dovuto ripartire da zero, ma non mi lamento”. A detta della ragazza, i colleghi e i docenti universitari l’aiutano molto.
Alla domanda se sogna di tornare in Siria risponde che non se la sente di ricominciare tutto daccapo.
Le difficoltà
Fadi Saleh, 29 anni, è un giornalista del canale Rt, e non esclude di tornare prima o poi in Siria. La guerra in patria è stata per lui un’ulteriore spinta: aveva già programmato di andare a studiare in Russia. Il primo e principale problema sono per lui le lungaggini burocratiche per ottenere i documenti necessari per risiedere nella Federazione. I suoi genitori non si erano dati da fare per fargli avere la cittadinanza russa e dopo due anni è riuscito a ottenere il permesso di soggiorno. Ma Fadi potrà diventare cittadino della Federazione Russa solo tra cinque anni. “Mi rincresce molto che, pur essendo per metà russi, non abbiamo diritto a una procedura più rapida e semplificata per ottenere la cittadinanza”, dice.
Fadi Saleh. Fonte: archivio personale
L'altra difficoltà sta nella differenza di mentalità. Fadi è per meta russo, ma è cresciuto in Siria. Per adattarsi al nuovo ambiente gli ci è voluto un anno e mezzo. Oggi Fadi sta finendo la specialistica all’Alta Scuola di Economia di Mosca e parallelamente prosegue la sua carriera di giornalista.
Ritorno a casa
Mariam Hasan (il nome l’ha cambiato) è venuta in Russia con i suoi due figli nel 2013 e oggi ha 45 anni. “Mi aspettavo di ritrovare la meravigliosa Russia che avevo conosciuto negli anni '80, ma la società e i costumi
sono cambiati. La gente è diventata più dura”, dice. I suoi figli non hanno incontrato grossi problemi: parlavano il russo e possedevano la cittadinanza russa così hanno cominciato a frequentare subito la scuola. Ma per Mariam è stato difficile. “Sono medico e capisce anche lei quanto può essere complicato esercitare questa professione con un diploma di laurea straniero. Ci sono voluti mesi, mi hanno richiesto un mucchio di documenti che in Siria non esistevano neppure”.
“C’era il problema di mio marito. Lui non poteva venire in Russia, non aveva la cittadinanza, non parlava il russo e non se la sarebbe sentita di raggiungerci con la prospettiva di non riuscire a trovare niente da fare”, racconta Mariam. Un altro fattore era la mancanza di un alloggio. Nell'arco dei due anni trascorsi in Russia Mariam aveva cercato di ottenere un alloggio statale per due anni, ma l’Ufficio federale per l’emigrazione aveva respinto qualunque aiuto ai profughi.
Mariam dice di essere venuta in Russia solo per il bene dei suoi figli. “Se non fosse stato per loro, non avrei mai pensato di partire e sarei rimasta in Siria. Chi avrebbe mai immaginato che la guerra ci avrebbe insegnato ad apprezzare di più la nostra casa?”
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