Gli effetti del riscaldamento

sull’ecosistema della Russia del Nord

Secondo le previsioni, anche quest’inverno la temperatura dell’aria sarà di un grado-un grado e mezzo più alta rispetto al normale (Foto: Itar Tass)

Secondo le previsioni, anche quest’inverno la temperatura dell’aria sarà di un grado-un grado e mezzo più alta rispetto al normale (Foto: Itar Tass)

I climatologi prevedono un altro inverno mite nelle zone settentrionali del paese: a causa dell’aumento delle temperature gli animali stanno mutando il proprio comportamento e cambiando habitat

La temperatura media nella Penisola di Kola nella parte nordoccidentale della Russia aumenta ogni dieci anni di 0,6 gradi. I climatologi ormai registrano questi cambiamenti da quarant’anni a questa parte. In tutti i mesi del 2014 le temperature sono state più alte della norma. “Stiamo assistendo ormai a un costante riscaldamento del clima e nella Penisola di Kola questo riscaldamento ha una velocità più sostenuta che nel resto della Russia. Al nord, nell’arcipelago delle Isole Svalbard, il riscaldamento è ancora più evidente” ha detto Yelena Siekkinen, meteorologa senior presso il Centro idro-meteorologico Murmansk. “A febbraio le temperature hanno deviato rispetto alla norma di ben 12 gradi! Non avevamo mai visto un’anomalia del genere”.

Quest’anno non farà eccezione: secondo le previsioni, tranne che in ottobre la temperatura dell’aria sarà di un grado-un grado e mezzo più alta rispetto al solito. Gli scienziati non hanno ancora capito se stanno assistendo al riscaldamento terrestre o soltanto a fluttuazioni naturali. In ogni caso, tuttavia, su un punto concordano tutti: l’aumento delle temperature ha già avuto un impatto sull’ecosistema del Mare di Barents, che confina con la penisola a nord, e così pure con una parte della Norvegia, ed è il centro della pesca commerciale nell’area.

Il numero di volatili sulla costa è diminuito, e questo fenomeno altera l’equilibrio di altre regioni della Terra.

I gabbiani emigrano nelle città

La vita degli abitanti delle acque del Mare di Barents dipende dalla temperatura dell’acqua. Esempio perfetto è il capelano, un pesce che vive nelle acque più a nord. Quando il suo ambiente consueto diventa tiepido, il pesce si trasferisce a est del Mare di Barents, dove la temperatura dell’acqua è più fredda. Ciò significa che gli uccelli a est restano senza cibo, soprattutto se si tiene conto della già accanita concorrenza dei pescatori. I pennuti alla ricerca di cibo abbandonano le loro case e si stabiliscono lungo la costa, ma la loro capacità di riprodursi ne risente in modo considerevole. “Al momento, le colonie occidentali di volatili si stanno riducendo e potrebbero scomparire del tutto”, mette in guardia Alexei Ezhov, collaboratore presso l’Istituto di Biologia Marina Murmansk.

“Negli ultimi 14 anni, le colonie occidentali nella Penisola di Rybachi, a nord della Penisola di Kola, si sono dimezzate, arrivando a 25mila coppie. Stiamo parlando di volatili, nella fattispecie di gabbiani tridattili, di urie, gazze marine e grandi gabbiani”. I gabbiani, in ogni caso, una soluzione al problema l’hanno trovata: ormai emigrano in città, più vicini all’uomo, e si nutrono nelle grandi discariche.

“In passato non c’erano così tanti gabbiani in città”, continua Ezhov. “Ma ora con la riduzione dei pesci nel Mare di Barents, gli uccelli sono costretti a spostarsi in territori insoliti e a cercare nuove fonti di cibo”. La riduzione di volatili lungo le coste del Mare di Barents altera profondamente anche l’equilibrio naturale di altre parti della Terra, dove gli uccelli trascorrono l’inverno: le coste dell’Inghilterra, della Scozia e i litorali orientali e settentrionali dell’America. “In quelle zone le nuove specie di uccelli allontanano quelli tradizionali e così si altera l’equilibrio tra vecchio e nuovo” dice ancora Ezhov.

I pesci si dirigono verso nord

Per alcuni abitanti del Mare di Barents, l’acqua tiepida si è rivelata salutare: per esempio non ci sono mai stati così tanti merluzzi come adesso. Nel 2012 il livello di biomassa che depone uova, ovvero il numero complessivo di maschi e femmine adulti, ha raggiunto il record storico di 1,6-2 milioni di tonnellate registrato nel 1995. “Non abbiamo timori per le specie più commerciali, con l’unica eccezione delle cappesante, nel caso delle quali possiamo parlare di cause naturali” spiega Constantine Sokolov, Direttore del Laboratorio per la ricerca sulla costa dell’Istituto scientifico polare di Ittiologia e Oceanografia. Il merluzzo, infatti, si sente a tal punto a suo agio nelle mutate condizioni da aver iniziato a esplorare territori nuovi: si sta spostando a nord del Mare di Barents, più in alto delle Isole Svalbard. Il console generale norvegese, Andreas Lindeman, a settembre ha parlato di questo fenomeno a un seminario sul cambiamento del clima. Nel 2012 il merluzzo spaziava fino a 82 gradi di latitudine nord, ovvero molto più a settentrione della Terra di Francesco Giuseppe. Resta ancora da capire, però, se i pescatori debbano spingersi così a nord per pescare il pesce. Al momento gli scienziati devono individuare quali cambiamenti sono determinati da forze naturali e quali dalle attività umane. Oltretutto va capito anche fino a che punto dovremmo impegnarci per risolvere la situazione e se non sia meglio lasciar fare alla natura.

“Dobbiamo comprendere in che modo tutti questi cambiamenti possono avere un impatto sull’equilibrio dell’ecosistema” dice Dmitri Ishkulov, vicedirettore scientifico dell’Istituto di Biologia Marina Murmanks. “Prima o poi, infatti, qualsiasi cosa danneggia la natura finirà col danneggiare anche l’uomo”.

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