La dacha tradizionalmente sorge su un piccolo terreno e ha un orto coltivato (Foto: Itar-Tass)
Due secoli fa i russi si salvavano dall’afa estiva della città rifugiandosi nelle dache, dimore di campagna dove tutta la famiglia si trasferiva per alcuni mesi e soltanto l’uomo di casa faceva avanti e indietro dalla città per lavorare. Da allora in Russia è cambiato tutto, ma i suoi abitanti trascorrono come prima l’estate in dacha.
Il 48 per cento dei russi che abita in città possiede un immobile in campagna, più spesso si tratta di una dacha usata solo per l’estate (27 per cento)
Venerdì. La giornata di lavoro è finita, tutta Mosca si mette in file chilometriche verso le varie destinazioni fuori città. Due, tre, quattro ore di viaggio nervoso a passo d’uomo sull’asfalto, in mezzo a una folla di altra gente che attende, come tutti, un frammento di natura e… la dacha!
La dacha è una peculiarità nazionale russa. In altre lingue non esiste nemmeno la parola. In russo è comparsa nel Settecento e deriva dal verbo “davat” (dare): lo zar dava un pezzo di terra con i contadini ai suoi vassalli come ricompensa per i loro servigi.
Anche lo Stato sovietico donava appezzamenti di terreno ai suoi cittadini per svariati meriti. In questo caso però si trattava di un fazzoletto di 600 metri quadrati, chiamato dalla gente “il seicentesimo” (cioè 6x100). In quello spazio si costruiva una casetta e si piantava l’orto. La dacha poi era il rifugio della vita privata, l’isoletta per l’emigrazione interna in epoca sovietica.
Il fenomeno è sbarcato senza grandi cambiamenti nella Russia di oggi, diventando praticamente uno sport nazionale.
Secondo i dati del Centro russo di studi sull’opinione pubblica (Vtsiom) nel 2013 la maggior parte dei moscoviti ha trascorso l’estate vicino a casa: il 31 per cento in dacha e il 31 per cento in città, andando in campagna soltanto nei fine settimana. Il 62 per cento della popolazione della capitale quindi accorda come in passato la sua preferenza alle ferie in dacha rispetto a qualunque altro tipo di vacanza.
Cos’è allora la dacha? Abbiamo deciso di scoprire cosa ne pensano gli stranieri.
Kerstin Holm, giornalista: “La cultura della dacha è un originale tipo di compensazione per il cittadino costretto a condizioni di vita opprimenti… Là, tra le braccia della natura, le persone si divertono a pescare, nuotare, raccogliere funghi e coltivare zucchine e pomodori […] Un mio amico sostiene che a Mosca non si può respirare e quindi dobbiamo andare nel suo paesino natale… Una casa di legno su una strada piena di buche sembra l’inizio di una favola. Gli intarsi incorniciano le finestre come colletti inamidati. Sopra una di esse sonnecchia un gatto. La padrona di casa ci viene incontro con dei golubcy… Prima però dobbiamo farci una bella sudata tra i bollori della banja”.
Boris Rajtchuster, scrittore: “La dacha è la possibilità di farsi una bella dormita, è un’amaca, il tè sulla terrazza, chiacchiere a non finire, passeggiate e lunghe notti accompagnate da vodka o vino”.
Nemmeno i russi hanno una risposta precisa a riguardo. Per ognuno la dacha è qualcosa di diverso e per questo ognuno in dacha fa quello che più gli piace.
Zinaida, pensionata, 73 anni: “Passiamo l’estate in dacha da ormai trent’anni. Qui ho il mio orticello: patate, cetrioli, pomodori, zucchine, cipolle, carote, fragole, ribes; d’estate li mangiamo appena colti, d’inverno usiamo le conserve ricordandoci le calde giornate trascorse”.
Viktor, muratore, 59 anni: “Questa casa l’ho costruita io con le mie mani, mattone su mattone. Adesso ho intenzione di aggiungerci il garage. Mia moglie si occupa dell’orto, pensiamo anche di metterci le galline. Quando andremo entrambi in pensione ci trasferiremo qui”.
Zinajda e Viktor appartengono alla vecchia generazione. Per loro la dacha è una piccola azienda ausiliare, un luogo di riposo morale e di lavoro fisico. I giovani invece in dacha si riposano e basta.
Vasilij, ingegnere, 30 anni: “Io e mia moglie abbiamo preso un terreno fuori città quando abbiamo saputo di aspettare un bambino. Non abbiamo messo l’orto e al suo posto abbiamo costruito un campo giochi per il bimbo. Di solito ci andiamo nei week end, spesso ci raggiungono gli amici con i loro figli. Ovviamente cuciniamo gli spiedini, ci piace cantare canzoni attorno al falò”.
La maggior parte dei “nuovi” proprietari come Vasilij acquista una dacha con i propri risparmi. Se non tutti possono permettersi di comprare un appartamento in una grande città, molti hanno però i soldi per un fazzoletto di terra in campagna.
L’Urss distribuiva i “seicentesimi” attraverso le cooperative di dache legate a varie organizzazioni. E così sono comparsi sulla mappa della Russia villaggi di scrittori, di minatori, di artisti, di costruttori, di ingegneri idraulici…
Gennadij, esperto padrone di dacha (di professione scrittore di teatro, la sua dacha si trova nel villaggio “Lo scrittore moscovita”) ci ha raccontato: “Vengo in dacha per cercare la solitudine. Ma non riesco sempre a stare da solo, anzi. Gli scrittori sono gente chiacchierona, fin troppo. Per il compleanno di qualcuno o per un motivo qualunque tutti si invitano a vicenda, inizia la baldoria, le sbornie. Io cerco di non andare a queste rimpatriate o piuttosto provo a svignarmela quando mi coinvolgono. Ogni tanto però bisogna far presenza. Molte cose che in effetti in città non diresti, all’aria aperta con un bicchierino di vodka escono da sole di bocca. Così in dacha si finisce per risolvere molte cose. C’è persino un mio lavoro teatrale ispirato ai villaggi di dache. Per la letteratura russa del resto non è certo una novità, tutti hanno scritto sulle dache: Cechov, Dostoevskij, Tolstoj”.
Comunque sia fatta, grande o piccola, di lusso o modesta, di proprietà o di amici, la dacha occupa un posto molto importante nella vita di un russo. In Asia si riposano per lavorare meglio, in Russia invece lavorano per riposarsi. In dacha, però.
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