Disegno di Natalia Mikhaylenko
Pyotr Stolypin (1862-1911), riformatore, primo ministro della Russia zarista, era un autentico europeo. Nacque a Dresda, visse parte dell’infanzia in Lituania, e amava andarea rilassarsi in Svizzera. Alto e vigoroso, era uno strenuo lavoratore: dormiva solo quattro ore al giorno. Conteso dalle donne, fu un ottimo padre di famiglia. Crebbe cinque figlie femmine e un figlio maschio. Quando iniziò la rivoluzione nel 1905, Stolypin ricopriva la carica di governatore della città di Saratov. Era solito muoversi senza scorta e senza armi per i distretti ribelli. Durante uno dei suoi viaggi, gli lanciarono una bomba sotto i piedi. Morirono delle persone ma Stolypin sopravvisse. Si conservano due foto di quel momento: in una, un gruppo di ribelli minaccia il governatore con pugni e bastoni, nell’altra, gli chiedono perdono in ginocchio.
Lo zar lo nominò prima Ministro degli Interni, e poi Primo Ministro. Nel governo di quell’epoca, era l'unico uomo in grado di poter far fronte al Paese. Lo zar era un uomo molle, privo di volontà. Mentre i funzionari pensavano solo ai propri interessi. E i deputati della Duma discutevano a squarciagola tra di loro senza concludere mai nulla. La situazione era complessa. La Russia aveva appena perso in maniera vergognosa la guerra contro il Giappone. Le crisi politiche si succedevano una dopo l’altra. Nelle città regnava il disordine. Vi erano continuamente incendi. Imperversava una guerra dinamitarda, il cui bersaglio principale erano gli alti funzionari dello Stato.
La dacia di Stolypin venne fatta saltare in aria da una potente carica di dinamite. Nell’attentato morirono trenta persone, tra ospiti e servitù, mentre le figlie del Ministro rimasero ferite. L'esplosione fu così forte che persino i vetri delle finestre di un edificio, situato sull’altra sponda del fiume, si frantumarono a causa dell’onda d’urto. Quando lo zar offrì a Stolypin dei soldi per curare le figlie, egli gli rispose: "Vostra Maestà, non vendo il sangue dei miei figli”. Nella sua carica di Primo Ministro, Stolypin introdusse le corti marziali e annunciò una riforma agraria, che avrebbe portato a distribuire le immense proprietà terriere fra i contadini. Era quello che in sostanza aveva promesso Lenin al popolo nel 1917. Solo che Lenin, alla fine, non aveva mantenuto fede alla sua promessa, mentre Stolypin sì lo fece. Egli pensava che instaurando la proprietà privata dei contadini e soppiantando così il sistema delle terre comuni, avrebbe attenuato i fermenti di agitazione popolare e il rischio di una rivoluzione. Egli puntava sul liberalismo economico e su un potere forte. Proprio come fece, a grandi linee, Pinochet in Cile, molti anni dopo. Venuto a conoscenza dell’essenza delle riforme di Stolypin, il Kaiser tedesco Guglielmo II annunciò la necessità di muovere al più presto guerra alla Russia, prima che questa diventasse imbattibile.
Il viaggio in Italia del Van Dyke russo |
L’obiettivo della riforma di Stolypin era dare ai contadini ciò che non aveva dato loro l'abolizione della servitù della gleba nel 1861. I servi erano stati liberati sì, ma non erano diventati proprietari terrieri. Stolypin voleva passare dalla Russia della Comune contadina (obscina) alla Russia dei proprietari terrieri indipendenti. Come in America, nei Paesi baltici, e in quasi tutti i Paesi occidentali, dove il coltivatore diretto costituiva la base dell'agricoltura del Paese. Uno degli assistenti di Stolypin scrisse: “Il grande errore della Russia è stato non introdurre una riforma agraria subito dopo l’Emancipazione ... Se l'Europa Occidentale ce l’ha fatta senza il bolscevismo è perché il sistema dei coltivatori diretti, in Francia, Germania, Inghilterra e Italia fu introdotto già molto tempo fa”.
Gli sforzi di Stolypin furono inutili. La società accolse la riforma in maniera ostile. Tolstoj, ad esempio, ne rimase indignato. Lo scrittore si rivolse direttamente a Stolypin: “Metta fine a questa terribile riforma! Basta guardare all'Europa, è tempo di pensare con la propria testa!”. Tolstoj discusse più volte questo tema anche con Dostoevskij, che invece sosteneva l'idea della proprietà privata. Egli scrisse: “Se volete far rinascere l’umanità in meglio, e fare delle bestie uomini, assegnate loro la terra e raggiungerete il vostro obiettivo”.
La rinascita in meglio venne assicurata attraverso il sangue. Su ordine delle corti marziali di Stolypin furono giustiziati più di mille terroristi. In un'intervista, Stolypin dichiarò: "Ho afferrato la rivoluzione per la gola e terminerò soffocandola, se, ovviamente, rimarrò in vita”. La riforma fu osteggiata. I proprietari terrieri temevano per i loro possedimenti. I socialisti sapevano che se la riforma avesse avuto successo, avrebbero perso il sostegno del popolo. E persino il popolo non sembrava così desideroso di possedere terreni. I nuovi proprietari, infatti, venivano condotti con la forza alle loro nuove proprietà, a bordo delle celebri “carrozze di Stolypin”. Gli effetti, però, ci furono. Prima della Prima Guerra Mondiale, infatti, la Russia vantava indicatori economici davvero ottimi.
Tuttavia, Stolypin non visse abbastanza da vederlo con i propri occhi. Il Primo Ministro sapeva che sarebbe stato ucciso. Tutti lo sapevano, anche l’Okhrana, la polizia segreta di quel tempo. L’attentato ebbe luogo a teatro, mentre Stolypin assisteva all’opera del compositore Nikolai Rimsky-Korsakov “La favola dello zar Saltan”. Dopo il famoso "volo del calabrone", un giovane si avvicinò a Stolypin e esplose due spari. Il Ministro si sbottonò la giacca, vide il suo gilet intriso di sangue, si piegò sulla poltrona e disse: “Sono felice di morire per lo zar”. L’attentatore avrebbe potuto uccidere direttamente lo zar, anch’egli presente alla rappresentazione teatrale, ma non lo fece. Stolypin era molto più pericoloso. L’attentatore, come si scoprì in seguito, era un certo Bogrov, un rivoluzionario e allo stesso tempo un agente di sicurezza. L’uomo venne rapidamente processato e impiccato. Non è ancora chiaro chi fosse il vero mandante dell’omicidio. Ciò che è chiaro è che tutti odiavano Stolypin. Tanto le autorità quanto il popolo. L'intero Paese, che egli aveva cercato di trascinare con la forza nel ventesimo secolo.
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