Fare il giornalista in Russia, una testimonianza diretta

Giornalisti e fotografi in azione (Foto: RIA Novosti / Alexei Maishev)

Giornalisti e fotografi in azione (Foto: RIA Novosti / Alexei Maishev)

Il mestiere dell'informazione, nel Paese, non è più pericoloso di molte altre professioni

Di solito è intorno al 7 ottobre, giorno in cui ricorre l' anniversario della morte di Anna Politikovskaya, che mi viene chiesto quanto è sicuro svolgere la professione di giornalista in Russia e quanta libertà professionale ho avuto nel periodo in cui ho vissuto nel Paese. La mia risposta di solito delude le persone non russe che mi pongono questa domanda, dal momento che sarebbero molto più contente di sentirmi dire che ho vissuto nella paura e sono stato molto attento a non offendere le autorità governative o le organizzazioni criminali.

La legge e la stampa

Le autorità russe sicuramente prendono sul serio la violenza contro i giornalisti. In un disegno di legge che dovrebbe passare entro la fine del 2013, la pena per la violenza contro un giornalista verrà equiparata a quella per la violenza nei confronti di un pubblico ufficiale

Prima di procedere con questo articolo vorrei chiarire che io condanno gli omicidi a sangue freddo della Politikovskaya, del giornalista di Forbes Paul Klebnikov e di altri colleghi meno noti. L’elemento comune in molti di questi omicidi è il fatto che nessuno sa veramente chi si nasconda dietro di loro.

È molto semplice per la stampa internazionale che soffre di russofobia dare la colpa alle autorità, senza uno straccio di prova credibile. Molti dei 4.000 corrispondenti stranieri che risiedono a Mosca e che non hanno mai affrontato alcun tipo di minaccia personale sarebbero più che felici di gridare alla mancanza di libertà nel Paese, dato che questo è ciò che i loro governi vogliono sentire.

È vero che i canali televisivi sono gestiti dallo Stato, ma accusarli di non impegnarsi in nulla se non nella propaganda è a dir poco buffo, per usare un eufemismo.

 Foto: Ria Novosti
Una targa per Anna Politkovskaya:
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Ho visto abbastanza racconti che mettono in evidenza situazioni tutt’altro che ideali in diverse parti del Paese, servizi giornalistici che non farebbero piacere alle autorità, ma che non hanno provocato la perdita del posto di lavoro del giornalista. C'è un giornalismo di carta stampata molto vivo nel Paese e che, spesso, si rifà alla traduzione di articoli dei media russi. Molti di questi articoli sono anche molto critici verso le autorità.

Molte volte sono stato accusato di essere un apologeta del governo russo. Non sono d'accordo con tutte le politiche portate avanti da chi è al potere, ma credo che non tutti i giornalisti debbano essere necessariamente cinici, pessimisti o scettici. È pur vero che le brutte notizie vendono e molte persone al di fuori della Russia sono in attesa di gustosi bocconcini per rafforzare i propri stereotipi sul Paese.

Tuttavia, la Russia, come qualsiasi altro Paese, ha tante storie positive e ancora sconosciute che attendono di essere raccontate. In questa epoca di pessimismo e di negatività preferisco essere un giornalista che si concentra sugli aspetti positivi della vita. Il mondo ha certamente bisogno di ottimisti in questa professione: quelli che usano la penna per diffondere buona volontà e unire le persone, piuttosto che dividerle, quelli che promuovono la tolleranza invece dell’odio...

Quando ho vissuto in Russia ho sicuramente fatto irritare qualcuno. È una parte inevitabile del mestiere. Nel Sakhalin Times, giornale indipendente per il quale lavoravo, ci siamo occupati spesso del sindaco di Yuzhno-Sakhalinsk. I nostri giornalisti sono stati spesso critici circa la sua noncuranza verso importanti questioni locali, come ad esempio nel caso della pulizia delle strade e dei marciapiedi dai cumuli di neve e di ghiaccio in città dopo le tempeste di neve. Il loquace, mellifluo e anglofono sindaco Andrei Lobkin ha preso atto della critica e ci ha presentato un diploma speciale per gli operatori dei settori dell'editoria e del giornalismo!

C'è stato anche un momento in cui ho avuto a che fare con l'agenzia una volta nota come KGB e ora chiamata FSB. In questo caso le autorità erano sospettose verso il British Council di Yuzhno-Sakhalinsk. Ricordo di aver ricevuto una telefonata a proposito di un articolo scritto da uno dei miei giornalisti sulle Ong straniere nella regione. Colui che mi ha chiamato ha detto di appartenere all’FSB e di voler scambiare qualche parola con me.

Quando l'ho incontrato le mie paure fuori luogo derivanti dal guardare troppi film occidentali sul KGB sono svanite. Il funzionario voleva solo conoscere le fonti dell’articolo. Anche se l'articolo non citava alcuna fonte anonima, il mio giornalista apparentemente disponeva di maggiori informazioni circa le attività non-profit sull'isola dei servizi segreti!

Quando abbiamo fornito le informazioni, il funzionario mi ha detto con gratitudine che sarebbe stato sempre disponibile se mai avremmo avuto bisogno del suo aiuto. Anche se l’ho ringraziato per l'offerta, quello che avrei voluto dirgli in realtà era che  il modo migliore di essermi di aiuto era di non chiamarmi più in futuro. Forse avevo subito troppi lavaggi del cervello dai film di James Bond.

Il British Council sull'isola, che è stato accusato di indulgere in attività incompatibili con il suo status diplomatico, è stato chiuso nel 2006. Non c’erano prove inconfutabili contro l'organizzazione, cioè circa il fatto che incoraggiasse le attività delle Ong politiche o promuovesse gli interessi commerciali delle imprese britanniche sull'isola.

Le possibilità di lavoro sporco legato all’attività di giornalista a Sakhalin avevano a che fare con qualche piccola società occidentale che cercava di diffondere delle false storie per diffamare la concorrenza durante la fase di assegnazione dei grandi contratti da parte degli operatori del mercato dell’oil&gas. Mi è stata anche offerta una generosa somma da parte di una società straniera per pubblicare un articolo completamente falso su un suo diretto concorrente. Un’offerta che mi ha fatto scoppiare a ridere!

I giornalisti stranieri, che spesso gridano allo scandalo per la mancanza di libertà di stampa in Russia, ricoprono comodi posti di lavoro nel Paese. Le autorità russe potrebbero “fregarsene” di quello che molti di questi giornalisti scrivono nella loro lingua per il proprio pubblico. Apprezzo il fatto che il governo russo presti molta più attenzione a ciò che scrive la stampa locale piuttosto che a ciò che pubblicano alcuni corrispondenti stranieri.

Questo in realtà dimostra che il governo si preoccupa di ciò che il suo stesso popolo pensa. Questo è in netto contrasto con ciò che accade nel mio Paese, l'India, dove il primo ministro è molto più urtato dalla critica contenuta negli articoli stranieri piuttosto che nei pezzi dei giornalisti indiani.

Un articolo del Washington Post piuttosto critico verso Manmohan Singh ha suscitato la decisa replica dell'ufficio del primo ministro. L’unico obiettivo raggiunto è che l’autore dell’articolo è diventato un nome familiare in India! Nessuno degli argomenti trattati nell'articolo era nuovo e il giornalista aveva semplicemente ripetuto ciò che i giornalisti indiani scrivevano dal 2008.

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