Credit: Niyaz Karim |
5 agosto 2013
A intervalli prolungati ma
abbastanza regolari, torno a illudermi di essere una persona sportiva. In tutti
questi anni di corsi di nuoto iniziati e abbandonati a metà, di abbonamenti
alla palestra acquistati e mai usati, non ho ancora capito (o forse ogni tanto
me ne dimentico), che io, con lo sport, non ho molto feeling. A distanza di
qualche mese dal precedente e fallimentare tentativo di fare della ginnastica,
torno puntualmente a infilare le scarpe da tennis, e a vestire i panni di una
maratoneta improvvisata.
So perfettamente a cosa sono dovuti questi miei slanci di finta iper-attività: tutta colpa della mia coinquilina, che sembra la sorella sportiva di Mazinga Z: un robot dai glutei sodi e le gambe toniche; una bomba di entusiasmo nel mettere la tuta da jogging e correre nel parco del quartiere per ore come se nulla fosse. Colta un po' da invidia e un po' da ammirazione, sono tornata a sgambettare di recente pure io.
Mi sono messa di buona lena, ho puntato la sveglia presto e verso le 7.30 sono scesa nel giardinetto condominiale per una corsa rigenerante.
Purtroppo, però, non ho calcolato l'imprevedibile. Fatti 300 metri, ho visto poco più in là un gruppetto di cani randagi - i soliti cani randagi che vedo sgranocchiare qualche osso tornando a casa la sera -, che mi seguivano minacciosamente con lo sguardo. Non ho fatto in tempo a finire di formulare il pensiero che uno di loro è partito in quinta, correndo verso di me abbaiando come un ossesso. Premessa: io adoro i cani. Mi piacciono tutti, che siano di razza o buffi bastardini, senza distinzione.
Ovunque, a Mosca, si possono incontrare cani randagi: lungo le strade, ma anche nei vagoni della metropolitana (Foto: Eva Canta)
In quel momento, però, me la sono vista proprio brutta con quelle tre belve lanciate verso di me, come impazzite. Ho sentito dire che se un cane inizia a correrti dietro bisogna fermarsi. Perché qualcosa, nella tua corsa, lo infastidisce tremendamente.
In quell'istante, però, non ho avuto la fermezza per un simile ragionamento. Mi sono fiondata verso l'ingresso del palazzo e, trovandolo fortunatamente aperto, mi sono rifugiata dentro, seminando i miei inseguitori pulciosi e forse anche un po' affamati.
La piaga del randagismo a Mosca è un fenomeno diffuso. In tutti i quartieri si incontrano cani senza padrone, sporchi e con lo sguardo perso. Li vedo spessissimo fuori dalla metro Ulitsa 1905, accovacciati ai piedi del grande monumento sovietico che si staglia davanti al viale; li incontro vicino al supermercato, mentre rovistano ai lati dei cassonetti dove probabilmente vengono gettati scarti di cibo. Si vedono tra le bancarelle dei mercati, nei sottopassaggi delle strade, nei giardinetti pubblici delle zone residenziali. Sono grandi e grossi; spesso gli mancano intere chiazze di pelo, e hanno l'aria triste.
Capita anche che si infilino, per sbaglio, all'interno della metro: forse spinti dal freddo invernale, forse alla ricerca di qualcosa da mangiare. Li ho visti in più di qualche occasione attraversare i tornelli, scodinzolare tra i pendolari e scorrazzare con aria ingenua, noncuranti delle signore del servizio di sicurezza che cercano, invano, di cacciarli fuori brandendo una scopa di paglia. Sembra quasi che le deridano, sotto quei baffi arruffati e sporchi. E poi proseguono oltre, dribblando con un balzo le donnette in divisa, fino a sparire in mezzo alla fiumana di passeggeri in attesa sulle banchine.
Una sera, tornando a casa verso ora di cena, ne ho visto uno all'interno di un vagone della metropolitana. Se ne stava vicino alle porte scorrevoli, ciondolando su quattro zampe al ritmo dei vagoni, come tutti gli altri passeggeri. Arrivati alla stazione Kurskaya, ha sbadigliato annoiato, si è guardato intorno e, senza troppa titubanza, è sceso, in direzione dell'uscita. Cedendo però prima il passo a una ragazza con un passeggino.
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