Quindici anni di governo. Le tesi di Putin

Il Presidente russo Vladimir Putin (Foto: Reuters)

Il Presidente russo Vladimir Putin (Foto: Reuters)

Il canale televisivo “Russia-1” ha mandato in onda il film-intervista “Presidente”, dedicato ai 15 anni dall'inizio del primo mandato di Vladimir Putin. Ecco le tesi principali del capo di stato sugli episodi del passato e le relazioni tra la Russia e l'Occidente

Una lunga intervista televisiva. Per sottolineare i momenti salienti della propria azione politica. Dal ruolo degli oligarchi ai rapporti con l'Occidente. Ecco la versione di Vladimir Putin sugli ultimi quindici anni della storia della Federazione. 

L'inizio del mandato

“Alcuni oligarchi, quando ero Presidente del governo e quando Eltsin annunciò che avrei partecipato alla corsa per la presidenza del paese, vennero da me nel mio gabinetto, alla Casa Bianca, e, sedendosi in fronte a me, dicevano: 'Lei si rende conto che Presidente non lo diventerà mai?'. 'Be', staremo a vedere'. Alla domanda su come gli sia riuscito di tenere a bada i suoi avversari, Putin risponde: “In diversi modi, con diversi metodi”.

“Ho lavorato per quasi vent'anni nel KGB nel servizio di intelligence straniera e mi è persino sembrato che con il crollo della barriera ideologica in forma del monopolio del partito comunista, tutto sarebbe cambiato in maniera cardinale. Invece no, il cambiamento non fu drastico. Pare che anche cose tanto semplici non avvengano nell'immediato, poi ci sono anche gli interessi geopolitici che non sono legati a nessuna ideologia. Era indispensabile far capire ai nostri partner che un paese come la Russia ha e non può non avere i suoi interessi geopolitici”.

Il Caucaso e il terrorismo

“Essendo capo del servizio federale di sicurezza, avevo letto diversi documenti operativi, comprese intercettazioni di terroristi internazionali quando scrivevano ad esempio: 'Ora è un momento storico unico. Abbiamo l'occasione di strappare il Caucaso alla Russia. Ora o mai più'. Ma anche per noi era chiaro che si trattava di un'occasione unica, che avremmo resistito allora o non ci sarebbe più stata altra chance di conservare il paese”.

 
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“Una volta i nostri servizi segreti riscontrarono contatti diretti fra i combattenti del Caucaso del Nord e i rappresentanti dei servizi speciali americani in Azerbaigian. In quel caso, di fatto, questi ultimi erano a sostegno dei guerriglieri, li aiutavano persino con il trasporto. E quando io misi al corrente di questi fatti l'allora presidente degli Stati Uniti, lui mi rispose: 'Be' io a quelli (chiedo scusa, lo riferirò direttamente) gli scuoio il sedere'. E dopo dieci giorni, i nostri, i miei sottoposti, agenti dell'FSB, ricevettero dai colleghi di Washington una lettera: 'Abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere i rapporti con tutte le forze di opposizione alla Russia. Riteniamo di avere il diritto di farlo e continueremo pertanto a farlo anche in futuro”.

Gli eventi più tragici in 15 anni

“Certamente si tratta degli atti terroristici. Vale a dire Beslan, il centro a Dubrovka (…). Queste sono state probabilmente le prove più dure per il nostro popolo”.

L'Occidente

“Io ho come l'impressione che l'Occidente ci ami solo quando serve mandare aiuti umanitari. Ecco allora, va tutto bene, allora le patate le mandano (…). I cosiddetti circoli del potere, le élite politiche ed economiche di questi paesi ci amano quando siamo poveri, quando mendichiamo con la mano tesa”.

La Crimea e l'Ucraina

“Io sono profondamente convinto di non aver infranto alcuna regola del gioco. Quando dico “regola del gioco”, ho in mente innanzitutto le norme internazionali, il diritto pubblico internazionale, la carta delle Nazioni Unite e tutto quanto ne consegue. Si tratta dei nostri rapporti con l'Ucraina, si tratta della situazione in Crimea, del nostro posizionamento nelle altre regioni del mondo nella lotta contro il terrorismo internazionale”.

“La cosa più importante per noi era capire che cosa volesse la gente che vive in Crimea (…). Se vuole tornare in Russia e non vuole trovarsi sotto il governo di neonazisti, nazionalisti estremisti e seguaci di Bandera, noi non abbiamo il diritto di abbandonarla. (…). Non perché intendiamo mordere, o strappare un pezzo di terra. E neppure perché la Crimea ha un significato strategico nel Mar Nero. Ma semplicemente perché è un elemento di giustizia storica. Io ritengo di aver agito in modo giusto e non mi pento di nulla”.

Di se stesso

“Io non ho mai fatto parte delle cosiddette élite. E questo è molto buono. Quando le persone vivono o nascono in un'altra fascia, non è male, anche qui ci sono lati positivi. (…) Ma per un uomo che svolge il lavoro che io svolgo, questo legame e senso di appartenenza alla gente comune del popolo è straordinariamente importante”.

“Io non cerco di trovare altre fonti aggiuntive (di informazione). Non ho bisogno di cercare, io ho tutto. Non so neppure perché, e mi è difficile persino dire, capisce? (…) Semplicemente io mi sento parte del nostro paese, parte del popolo. (…) A me questi segnali arrivano immediatamente, quando la gente cioè non è soddisfatta”.

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